L’economia circolare salverà il mondo. Parola di Milena Gabanelli
L’economia circolare è la sola alternativa possibile in Italia e nel mondo. Parola di Milena Gabanelli, che ha condotto un articolo-inchiesta molto apprezzato e condiviso in rete. Perché? Per tre motivi principali. La Gabanelli indica numeri rilevanti, fornisce esempi quotidiani di sprechi e individua un nuovo modello di sviluppo anche attraverso esempi pratici. Passiamoli in rassegna uno per uno.
Diamo i numeri
L’economia mondiale consuma in un anno circa 93 miliardi di tonnellate di materie prime (minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa) e ne riutilizza appena il 9%. Con un piccolo problema: per continuare con questi ritmi di produzione e con questo stile di vita il Global Footprint Network ha calcolato che ci vorrebbe quasi un altro pianeta (1,7 per l’esattezza). “Nel 2018, il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse naturali che il Pianeta è in grado di rigenerare in un anno, è caduto il primo agosto: mai così presto”, spiega la Gabanelli. “È come finire lo stipendio al 20 del mese, ma nessuno ti fa credito per gli altri 10 giorni.” Per capirci, il consumo delle risorse è triplicato rispetto al 1970 e nel 2050 dovrebbe raddoppiare.
Ci sono poi i numeri dell’ottimismo. A Davos, un paio di mesi fa, hanno stimato che il valore potenziale dell’economia circolare a livello mondiale sia di 3.000 mila miliardi di dollari. E nel Bel Paese? Secondo l’ultimo bilancio del Conai, in Italia l’industria del riciclo fatturerebbe 88 miliardi per 575mila occupati.
Sprechi
Quella sugli sprechi è forse la parte più sorprendente dell’inchiesta. Il macro dato secondo cui l’ammontare degli sprechi per l’Europa sarebbe di 7,2 trilioni di euro (rapporto Groth Within di McKinsey e Fondazione MacArthur) dà l’idea di un sistema poco sostenibile, ma non rende l’idea. Paradossalmente, risultano più efficaci alcuni esempi di sprechi (o non di ottimizzazioni) del quotidiano vivere. Qualche esempio. Oggi in Europa un’auto rimane parcheggiata in media il 92% della sua esistenza. Ci sono poi gli uffici: in una giornata il loro utilizzo effettivo medio è del 35/40%. Infine, l’acqua usata per irrigare: solo il 40% raggiunge effettivamente le piante.
Un nuovo modello di sviluppo
Sulla base dei numeri allarmanti, ma anche della potenziale crescita economica sopra citati, la Gabanelli non ha dubbi: “Vuol dire che si può crescere cambiando modello di sviluppo. L’economia circolare in concreto «chiude il cerchio» del ciclo di vita dei prodotti, incrementando il loro riutilizzo, favorendo i risparmi energetici, e diminuendo gli sprechi in ogni settore.”
Cosa impedisce allora la chiusura del cerchio ancorandoci all’esiguo 9% di riutilizzo delle materie prime? Diversi motivi. Forse il più decisivo è la mancanza di una normativa di sistema all’interno di un sistema che progetta i prodotti per farli durare il meno possibile. Certo, non mancano certificazioni e riconoscimenti (come quella Cradle to Cradle – «Dalla culla alla culla») che premiano modelli alternativi all’obsolescenza e normative che promuovono la cultura del riuso a discapito dello spreco. Tra queste, la direttiva europea n. 95 del 2014 (in Italia recepita alla fine del 2016) che “ha introdotto per gli enti di interesse pubblico (società quotate, banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari) con più di 500 dipendenti l’obbligo di rendere note le loro politiche di sostenibilità ambientale, sociale, catena di fornitura, gestione delle diversità e dei rischi.” Eppure, serve qualcos’altro ancora. A livello normativo e culturale. Anche perché è lo stesso mercato a chiederlo. Secondo un’analisi realizzata da PwC con Centromarca e IBC nel 2019, infatti, gli stessi consumatori richiedeno prodotti con packaging eco-friendly (37%), evitano l’utilizzo di contenitori di plastica (41%); pagherebbero di più per prodotti ecosostenibili (42%) e si dichiarano attenti all’origine del prodotto (44%).
Insomma, cambiare o comunque ripensare il sistema. In fondo, non esistono alternative…