Due anni di plastica in un barattolo. L’esperimento di Kathryn Kellogg

Giugno 5, 2018 By

L’esperimento della blogger Kathryn Kellogg in uno speciale National Geographic sull’inquinamento

Un comune contenitore da cucina di vetro, di quelli in cui conserviamo il caffè, o la farina. Lì dentro Kathryn Kellogg ha cominciato a stipare i suoi rifiuti non riciclabili nella primavera del 2015. Dopo sei mesi, era ancora quasi vuoto. Dopo un anno si erano accumulati due tappi di plastica, qualche etichetta, una manciata di nastrini. E alla fine, dopo due anni, il barattolo era pieno.

Qualche anno fa Kathryn si è trasferita in California, e impressionata dalla quantità di rifiuti che ha trovato sulle spiagge, quasi esclusivamente plastica, ha abbracciato uno stile di vita Zero Waste, rifiuti zero (che racconta nel suo blog), cercando di rendere minimo il suo impatto sull’ambiente. E ci è riuscita. A prezzo di un’attenzione spasmodica che non tutti siamo disposti ad avere, anzi.

Però ridurre i rifiuti di plastica nella nostra vita quotidiana è un obiettivo alla portata di tutti. Anche prima che entrino in vigore le nuove norme approvate dalla Commissione Europea nei giorni scorsi. che prevede di mettere al bando la produzione di molti prodotti in plastica monouso, dai piatti alle cannucce, dalle posate ai cotton fioc, e richiede ai Paesi membri di garantire, entro il 2025, la raccolta del 90 per cento delle bottiglia di plastica per bevande.

Quella delle bottiglie, d’altra parte, è una piaga planetaria. Come si legge sul numero di National Geographic in edicola, che dedica alla plastica un corposo dossier di copertina, nel mondo si vende un milione di bottiglie di plastica al minuto; quasi un miliardo e mezzo al giorno. E nei soli Stati Uniti si consumano 500 milioni di cannucce al giorno.

Già con il solo ricorso a cannucce in metallo e bottiglie riutilizzabili ridurremmo in maniera drastica la quantità di plastica che, quasi sempre, trova la sua destinazione finale nei mari, con le conseguenze sull’ambiente che ormai sono sotto gli occhi di tutti.

Rifiuti, 5 consigli

E pensare che nel 1869, quando John Wesley Hyatt brevettò la celluloide, la nascita della plastica fu salutata come una benedizione: poter costruire palle da biliardo con un nuovo materiale avrebbe permesso di evitare, declamava l’inventore americano, di «saccheggiare la Terra alla ricerca di sostanze che diventano sempre più rare».

Fino ad allora – racconta Laura Parker sulle pagine di National Geographic – il materiale per le palle da biliardo era l’avorio, e la prospettiva di mettere a rischio la popolazione degli elefanti, oltre al prezzo sempre più alto, aveva convinto un’azienda di biliardi di New York a mettere in palio una ricompensa di 10.000 dollari per chiunque avesse trovato un materiale alternativo.

A distanza di un secolo e mezzo, purtroppo, gli elefanti sono comunque in pericolo. Ma in più abbiamo prodotto 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, tre quarti dei quali sono rifiuti, per il 90 per cento non riciclati.

Non sappiamo nemmeno quanta della plastica che consumiamo, racconta sempre Laura Parker, finisca in mare. La stima più accreditata, pubblicata nel 2015 da Jenna Jambeck, dell’Università della Georgia, è tremendamente grossolana: tra 4,8 e 12,7 milioni di tonnellate. In stragrande maggioranza imballaggi, che hanno una vita media – ovvero il tempo per cui vengono usati inferiore ai sei mesi.

A differenza delle materie plastiche usate in edilizia, nei trasporti e per i macchinari industriali, il cui sfruttamento dura tra 13 e 35 anni, un sacchetto per la spesa ha una «vita lavorativa» di un quarto d’ora.

Il problema, insomma, come dimostra l’esperimento di Kathryn Kellogg, non è la plastica in sé. La plastica ha dato un contributo di valore inestimabile allo sviluppo della nostra civiltà: contribuisce a far battere cuori e a far volare aerei. Il problema siamo – anche – noi. Perché quasi la metà della plastica prodotta nel mondo viene usata una sola volta e poi buttata via.

Certo, la scelta di Kathryn comporta impegno e dedizione. Ma, pensateci, basterebbe usare due volte ogni cannuccia, ogni bottiglia, ogni sacchetto per ridurre della metà la plastica che buttiamo. Non è poi questo sforzo, e potremmo fare molto di più.