Plastic tax, novità da percorrere o arma spuntata?
Plastic tax sì o no? La domanda percorre l’Europa e l’Italia. Da una parte chi ritiene che l’imposta in questione sia necessaria per migliorare il comportamento di chi impatta sull’ambiente, senza incidere sugli equilibri di mercato. Dall’altra chi nutre dubbi sull’efficacia di questa e ne denuncia il carattere liberticida. Di certo, non esistono bacchette magiche e soluzioni infallibili, anche perché ci troviamo dinanzi a una delle nuove sfide globali cui far fronte nei prossimi anni. I numeri lo confermano: secondo Plastics Europe e Rethink Plastic Alliance, la produzione di plastica mondiale ha raggiunto 359 milioni di tonnellate nel 2018, con un aumento del 3% rispetto all’anno precedente. Il triplo rispetto al 1990! E non è tutto. Di questa quantità, Il 17% (64,4 milioni di tonnellate) è dovuto alla sola Europa, che ne raccoglie circa 25,8 milioni sotto forma di rifiuti per inviarne a riciclo meno del 30%.
Plastic tax italiana ed europea
In Italia la politica si è interrogata se aggiungere o meno una tassa nazionale a quella europea. il ministro dell’economia Roberto Gualtieri, in audizione alla Camera dei Deputati, ha scongiurato l’ipotesi della doppia imposizione. Dunque, dopo il rinvio di luglio, niente plastic tax nemmeno a gennaio (scelta che non è piaciuta a Stefano Ciafani, presidente di Legambiente). Per la cronaca, la plastic tax italiana prevede(va) il pagamento di 45 centesimi per ogni chilo di plastica di prodotti monouso (bottiglie di plastica, imballaggi per il cibo e tetrapak) venduti. La plastix tax europea non è una vera e propria tassa, ma un tributo che gli Stati europei dovranno pagare sulla base della quantità di plastica non riciclata e buttata ogni anno (quella italiana, invece, si applica sulla plastica prodotta). In pratica, dal prossimo anno, si pagheranno 80 centesimi circa per ogni chilo di plastica non riciclata. I termini sono ancora poco definiti e i dettagli dovranno essere forniti dalla Commissione. Di sicuro le somme versate andranno a finanziare il Recovery Fund, lo strumento individuato dall’Ue per far fronte alla devastante crisi innescata dalla Covid.
Plastic tax, una scelta che “paga”?
Con la rinuncia del governo alla plastic tax nazionale, i produttori di plastica e le imprese del settore – e più in genarale le imprese – tirano un sospiro di sollievo. E con loro anche i consumatori, sui quali gli aumenti si sarebbero riversarti (una bottiglia di acqua da un litro e mezzo sarebbe costata tre centesimi in più). Rimane la questione di dove lo Stato preleverà gli 800 milioni chiesti dall’Unione europea e dell’obiettivo dell’imposta che è (o dovrebbe essere) quello di diminuire l’impatto ambientale degli imballaggi in plastica non riciclati.
E come nel gioco dell’oca, eccoci alla casella di partenza: la plastic tax servirà a scoraggiare la produzione di plastica e l’inquinamento da essa procurato? E se anche ci riuscisse, rimane lo strumento più adatto a tal fine?
Non ci sono risposte. Sarà il tempo a darle, visto che – come detto – ci troviamo dinanzi ad emergenze globali inedite o comunque “giovani”. L’esperienza europea sulla tassazione ambientale non autorizza a facili entusiasmi. In Belgio, ad esempio, nel 1993 venne introdotta un’imposta sui contenitori per bevande di consumo. Ebbene, l’osservazione dei dati tra 1993 e 2006 ha rilevato un decoupling degli imballaggi in plastica monouso dal prodotto interno lordo, ma al tempo stesso non è riuscito a individuare un effettivo miglioramento nel riutilizzo della plastica. Probabilmente perché il basso livello di tassazione non è stato tale da favorire un miglior comportamento da parte dei consumatori.
Anche il caso italiano non induce a ottimismi sfrenati, sotto il profilo ambientale. L’introduzione da parte del Conai (Consorzio nazionale imballaggi) del CAC, un contributo diversificato per gli imballaggi in plastica col fine di incentivare l’uso di quelli maggiormente riciclabili attraverso la leva fiscale, non ha comportato un miglioramento sensibile sull’immissione della plastica.
D’altra parte l’emergenza globale, confermata dai numeri sopra citati, impone regole (anche fiscali) per combattere la presenza di rifiuti di plastica nell’ambiente, a partire da quello marino. Sul tema, peraltro, proprio il Bel Paese ha dimostrato in passato di essere all’avanguardia “mandando in pensione” i tradizionali sacchetti di plastica della spesa, quelli ultraleggeri per frutta e verdura e i cotton fioc in plastica.
Magari rimandare la plastic tax è stata una mossa opportuna, visto il momento delicato anche da un punto di vista economico. Forse andrà ripensata. Rinunciarci del tutto, però, potrebbe essere un errore.