Interviste

Sulla green economy la politica balbetta troppo. La denuncia di Ciafani (Legambiente)

Settembre 7, 2020 By

La pandemia come occasione per ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e la sostenibilità del nostro sistema produttivo? Certo, a patto che si punti con convinzione sull’economia verde senza troppi indugi, nel segno del Green New Deal europeo. Proprio il contrario di quanto stiamo assistendo in Italia. Insomma, troppi balbettii, poca visione coerente.

È quanto dichiarato senza troppi giri di parole da Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, in un’intervista al Corriere della Sera. Tanto per cominciare, a non convincere è il decreto rilancio: “Non ci siamo proprio. Si tratta di provvedimenti in ordine sparso, cui manca una visione coerente. Da un lato promuove la circolazione delle bici modificando il codice della strada, ma dall’altro lato sussidia racquisto di auto inquinanti, assolve la plastica monouso tagliando la plastic tax e proroga concessioni balneari vergognose.”

L’ambientalismo radicale che blocca il Paese

Ciafani non si limita a denunciare le idee confuse dell’esecutivo, ma indica proposte concrete di rilancio, perché a dispetto degli ambientalisti integralisti e dei comitati del No a prescindere “bisogna essere pragmatici, lo diciamo da sempre alle altre associazioni che si mettono di traverso su qualsiasi progetto. Bisogna smettere di chiedere la luna.” A tal proposito, da segnalare il ritorno dell’alleanza tra i costruttori dell’Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) e la stessa Legambiente contro alcune modifiche al decreto Semplificazioni che il Senato sta votando. Il motivo? Gli emendamenti in questione, invece di semplificare e favorire una rigenerazione urbana nell’ottica della sostenibilità ambientale, rischierebbero di “bloccare le città”. Un errore che vorrebbe dire un salto indietro e una vittoria (si fa per dire) proprio di quell’ambientalismo ideologico e radicale che ha spesso bloccato il Paese e la costruzione di impianti.

Tornando alle proposte in campo, Legambiente ha presentato le proprie idee per un rilancio green del Paese in occasione degli Stati generali dello scorso giugno: 33 proposte di semplificazione, 170 opere pubbliche prioritarie, più una serie d’interventi sulle città per facilitare la mobilità di 3 milioni di pendolari.

Le emergenze ambientali italiane

Tra le 11 emergenze individuate, spiccano quelle del risanamento dei siti industriali inquinati e quella degli impianti di depurazione. “A 44 anni dalla legge Medi un quarto degli abitanti di questo Paese sono ancora senza depuratori”, spiega sempre Ciafani. “Riceviamo sanzioni dall’Europa, ma qui nessuno si accorge che è un’emergenza. Non abbiamo un deposito nazionale per i rifiuti radioattivi a media e bassa attività, che continuano a essere stoccati in decine di depositi insicuri. Abbiamo edifici abusivi da abbattere, vecchie piattaforme petrolifere non più attive da smantellare”.

I dubbi sul tunnel dello Stretto? Una questione di priorità

C’è poi il capitolo, altrettanto delicato, dei collegamenti nel centro-sud. Anche qui, il presidente di Legambiente parla chiaro e spiega il suo scarso entusiasmo per il tunnel sotto lo Stretto di Messina: “È un’opera che si può fare, ma resta una cattedrale nel deserto. Chi conosce le modalità di trasporto di merci e persone in Calabria e in Sicilia, ma anche nelle altre regioni del Sud, sa che c’è un Paese diviso in due. Nel Centro-Sud ci si muove in maniera ancora preistorica: l’alta velocità si è fermata a Salerno e si impiegano ancora sette ore per andare in treno da Napoli a Bari.” Le perplessità, dunque, nascono dalla scarsa intuizione di ciò che serve al Paese: “Le opere ingegneristiche spettacolari sono importanti, ma dovrebbero rappresentare l’atto finale di un processo di modernizzazione dei sistemi di trasporto, che in Italia ancora non c’è”.

Le inaduegatezze della politica

Alla fine, quello che emerge dall’intervista è come la politica fatichi a cogliere le opportunità di una svolta “verde”. Un’inadeguatezza a cui fa da contraltare un Paese reale, spesso e volentieri più sintonizzato con i tempi che cambiano. “C’e molto più ambientalismo nell’industria italiana che nelle stanze della politica”, conclude Ciafani. “Ci sono imprese verdi che hanno saputo cogliere le grandi opportunità dello sviluppo sostenibile e dell’economia circolare, agricoltori innovativi, pionieri nelle bioplastiche e nelle fonti rinnovabili. Non è un caso che oltre trent’anni fa, nel 1989, invitammo Raul Gardini a un nostro congresso perché ci spiegasse la sua visione dell’integrazione tra chimica e agricoltura, che portò poi alla nascita di Novamont, gioiello mondiale della chimica verde made in Italy. Ma per innescare un Green New Deal italiano serve anche una spinta delle istituzioni, altrimenti si sprecano risorse”.

Insomma, senza cadere nel facile gioco dell’antipolitica, assistiamo da troppo tempo a una classe dirigente poco coerente e troppo confusa, incapace di investire sul green e, al tempo stesso, opportunista nel fiancheggiare il radicalismo ambientale del comitato di turno. Il tutto mentre l’Europa ci chiede un programma di rilancio nel quale almeno il 30% dei progetti siano a favore del clima…