Abbigliamento e accessori: anche lo sport si fa green
Crescono i marchi di sportswear che scelgono prediligono fibre tessili biologiche e materiali riciclati. Ecco quali sono e perché vale la pena di conoscere i loro prodotti.
Il mercato eco-sostenibile si allarga e cresce la percentuale di consumatori che ricerca prodotti dall’anima verde. Etica, ambiente e sostenibilità sono leve di acquisto sempre più determinanti per i Millennial e la Generazione Z.
I consumatori più giovani sono i più attenti alle etichette, si informano sull’etica di produzione dell’azienda e spesso ne sposano la filosofia e, cosa più importante, sono anche quelli disposti a spendere un po’ di più per rispetto dell’ambiente.
Proprio per questo motivo, le aziende del settore sportivo hanno re-interpretato il concetto di sostenibilità come un plus aziendale, facendo della tutela dell’ambiente e della ricerca la propria mission aziendale. Ma si tratta di strade lunghissime e impervie, strutture spesso enormi, dalla filiera produttiva molto frammentata. Una catena dove, per realizzare anche il più semplice dei capi, ci si affida a diversi passaggi di cui spesso si perde traccia: perché dal filato alle zip, ogni elemento ha una storia di produzione snodata in diversi paesi del mondo e spesso spalmata su appalti e subappalti.
Materiali innovativi eco-friendly
Oggi il mercato offre tante possibilità di scelta per allenarsi in modo consapevole. Molti capi tecnici sono diventati eco-friendly, ma anche accessori come scarpe o occhiali, perfetti per praticare tutti i tipi di sport, indoor e outdoor, dallo yoga al running, dallo sci alla piscina, mantenendo però le proprie caratteristiche performanti.
Chi pratica sport sa bene che l’abbigliamento tecnico è un settore di grande ricerca, dovei brand sportivi studiano duramente e investono denaro e risorse nella ricerca di materiali innovativi a basso impatto ambientale per realizzare capi e accessori in grado di migliorare le prestazioni sportive pur mantenendo un’anima green.
Tuttavia bisogna fare attenzione: dichiararsi green è ormai una vera e propria moda o strategia di marketing da parte dei brands e non è sempre tutto così verde quello che viene chiamato sostenibile.
Per garantire che almeno uno degli aspetti dei prodotti sia sostenibile, le aziende (e poi i consumatori) si affidano spesso alle certificazioni: la Gots (Global Organic Textile Standard), che garantisce la provenienza bio dei filati, la GRS (Global Recycle Standard) indica un processo di riciclo, fino alla più completa LCA (Life Cycle Assessment) che analizza l’intero ciclo di vita di un capo o di un filato ne quantifica la sostenibilità prendendo in considerazione tutti i suoi aspetti.
Adidas è particolarmente attento alla questione ambiente: sia con la linea firmata Stella McCartney, la fashion designer più sensibile a queste tematiche, sia con la collezione Adidas x Parley, una collaborazione nata nel 2015, che ha portato alla produzione di prodotti performanti realizzati con materiali composti per almeno il 75% da rifiuti plastici raccolti presso spiagge e comunità costiere. Grazie al progetto End Plastic Waste che si pone l’ambizioso traguardo di ridurre al minimo la plastica sul nostro pianeta, dalla primavera 2021, le iconiche STAN SMITH firmate adidas Originals sono disponibili nella versione eco-friendly, che non sacrifica lo stile per la sostenibilità, anzi. La silhouette resta sempre la stessa dal 1973, ma la differenza sta nella scelta delle materie prime utilizzate: una tomaia Primegreen realizzata con il 50% di materiale riciclato ad alte prestazioni collocata su una suola bianca in gomma riciclata.
Per chi ama distinguersi, adidas Originals ha creato anche una versione più fashion di STAN SMITH con una grafica stampata ispirata al pianeta terra e un modello ispirato a una delle rane più amate, Kermit dei Muppet. Nella parte posteriore delle scarpe un messaggio, ironico, reale, unico e potente il claim: “It’s Not Easy Being Green“.
Produrre in modo etico e sostenibile è la mission di tanti noti marchi di abbigliamento sportivo.
Certificazioni B corp, cos’è e come funziona
Un altro interessante percorso verso la sostenibilità che alcuni brands sportswear hanno intrapreso è quello delle certificazioni B Corp. Un percorso che a differenza del precedente focalizza l’attenzione sull’azienda e combina il profit con la sostenibilità.
Per ottenere una certificazione B Corp, l’azienda deve partecipare ad un processo di B Impact Assessment, uno strumento che misura la trasparenza dell’impresa e come e quanto il suo business impatti sui lavoratori, sulla comunità, sull’ambiente e perfino sui consumatori. Una certificazione internazionale che analizza a 360 gradi la sostenibilità di una azienda. Per ottenerla bisogna raggiungere un punteggio minimo pari a 80. Ottenere 80 punti, significa avere la sufficienza su tutte le cinque categorie del report: Governance, Workers, Community, Environment, Customers. Ad oggi, Patagonia, noto brand sportivo californiano, B Corp dal 2011 è l’azienda che si distingue con un punteggio pari 151.4 su 200. Ad ottenere una certificazione B Corp anche il marchio sportivo e prima azienda di snowboard Burton. In Italia, sono solo due le imprese che l’hanno ricevuta: di cui, uno è il noto brand di abbigliamento sportivo: Save The Duck, il marchio di outwear “animal free” di Nicolas Bargi.
Le aziende sportive B Corp sono quindi società di profitto e anche di benefit, un dualismo fondamentale perché se non c’è profitto non si può andare avanti, non si può investire e non si può migliorare in termini di sostenibilità. Le certificazioni B Corp si stanno affermando come certificazione di riferimento a livello internazionale. Sono indubbiamente uno strumento di marketing ma, che per la prima volta, parla anche di responsabilità.
Agata Carone, 13 maggio 2021