Bla, Bla, Bla: Greta aveva ragione sulla Cop 26?
Lotta ai cambiamenti climatici: un bilancio sul vertice di Glasgow.
Bla bla bla. E allora aveva ragione Greta circa la reale volontà dei potenti della Terra di combattere i cambiamenti climatici? Erano promesse, o poco più, quelle che abbiamo sentito dai leader politici nella pre Cop di Milano dello scorso ottobre? Forse. Prima di rispondere ed emettere sentenze, però, fermiamoci e passiamo in rassegna il meglio e il peggio del vertice in modo da avere le idee un po’ più chiare. Come succede spesso, infatti, le cose sono più complesse, più complicate.
Il meglio della Cop 26
1. Per la prima volta nella storia, il documento finale cita i combustibili fossili e la necessità di ridurne l’uso. Forse non sarà abbastanza, ma è comunque un passo avanti.
2. I Paesi si sono impegnati a tagliare il 45% delle emissioni entro il 2030.
3. Cina e Stati Uniti, due tra gli Stati più inquinanti al mondo, hanno siglato un accordo di cooperazione con misure di contenimento delle emissioni.
4. Diversi Paesi si sono impegnati (in occasione del Gender Day) per un maggiore coinvolgimento delle donne nelle decisioni e nei progetti legati ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile. Il Canada, per esempio, ha assicurato che l’80% dei suoi 5,3 miliardi di dollari di investimenti sul clima riguarderà l’obiettivo l’uguaglianza di genere, mentre gli USA stanzieranno 14 milioni di dollari nel fondo “Gender Equity and Equality Action Fund” che coniuga l’attenzione al clima con quella di genere.
Il peggio della Cop 26
1. I Paesi ricchi non hanno rispettato l’impegno di dare 100 miliardi ai Paesi in via di sviluppo (nel 2019, ultimo anno di cui si hanno i dati, gli aiuti ammontavano a 80 miliardi).
2. L’obiettivo della Cop Parigi del 2015 di limitare l’aumento delle temperature globali medie sotto i 1,5 C° rispetto ai livelli preindustriali non si può dire raggiunto. Non solo: nel testo finale del vertice, si parla di mantenere la temperatura almeno al di sotto dei 2°C, anche se si fa cenno di continuare gli sforzi per mantenerla al di sotto degli 1,5°C. Troppo poco, se si considera che uno studio del 2018 ad opera dell’Ipcc (l’organismo delle Nazioni Unite di supporto scientifico sui cambiamenti climatici) ha accertato che la differenza tra due e un grado e mezzo è rilevante.
3. La richiesta dei Paesi più poveri di creare un fondo speciale per i danni della crisi climatica è stata respinta.
4. La dismissione dei combustibili fossili e, in particolare del carbone, ha subito un “annacquamento”. In pratica, dall’inziale phase out (eliminazione graduale) si è passati alla phase down (diminuzione graduale). Una vittoria per Cina ed India, restie alla decarbonizzazione, ma anche per Australia, Arabia Saudita e Russia che erano sulla stessa linea d’onda.
Ci sono poi questioni per le quali il bicchiere può essere visto mezzo pieno o mezzo vuoto. Prendiamo i Nationally Determined Contributions (NDC) per la neutralità carbonica, cioè i piani di riduzione della Co2. Pollice in su per il fatto che entro la fine del 2022 i Paesi dovranno presentare di nuovi piani, pollice in giù per il fatto che alla Cop26 nessuno dei grandi paesi produttori di gas serra (India a parte) abbia rinnovato o migliorato i propri NDC.
Cop 26, fallimento o no?
E allora, tornando alle questioni iniziali, qual è il bilancio della Cop 26? La sensazione è dell’occasione mancata o, peggio, dell’ennesimo rinvio. Certo, non mancano le attenuanti se si considera che il processo degli accordi è articolato e che mettere d’accordo quasi duecento Paesi non è facile (eufemismo). La percezione, tuttavia, è che la montagna abbia partorito il topolino. Del resto, lo stesso primo ministro del Regno Unito Boris Johnson ha parlato di «delusione», mentre l’inviato degli Stati Uniti sulle questioni climatiche John Kerry ha definito la Cop un «fallimento monumentale».
Insomma, Bla, bla, bla…