Decarbonizzazione, la CCS è una soluzione?
Per molti, le energie rinnovabili non sono sufficienti per la decarbonizzazione. Meglio puntare anche su nuove tecnologie, come la CSS. Francesco Ferrante, vicepresidente Kyoto Club e senior partner epr, ci dice cos’è e quali i pro e i contro
Decarbonizzazione e cambiamenti climatici: in un articolo sul Sole 24 Ore del 3 novembre 2021, il giornalista Jacopo Giliberto ha posto alcune questioni legittime sulla realizzabilità delle proposte al tavolo dei grandi in occasione del G20 a Roma e della Cop a Glasgow. A parole, infatti, siamo tutti d’accordo su un mondo più pulito e sostenibile. Il problema è nelle soluzioni, nelle ricette e nella sostenibilità (economica, non solo ambientale) da adottare.
Le rinnovabili, ad esempio, vanno sostenute e incoraggiate, ma presentano dei limiti, come sottolineato dallo stesso Draghi nel corso del G20 di Roma. Tre i limiti di queste fonti di energia: 1. la bassissima densità energetica, 2. la loro incostanza e 3. la localizzazione.
L’incostanza delle rinnovabili fa sì che a costi bassissimi di produzione facciano da contraltare costi elevati di non-produzione. In pratica, come spiega Giliberto “quando il vento si placa o il sole declina sull’orizzonte, vengono accese a velocità turbo le centrali elettriche non rinnovabili (si fanno pagare un botto per il servizio) oppure si installano enormi pacchi di accumulatori al litio (costano un botto e mezzo e non bastano a dare la corrente the serve)”.
C’è poi la localizzazione. “La localizzazione significa che le centrali solari producono di più nei luoghi frequentati dal sole, le eoliche nelle zone battute dal vento, l’idroelettrico ha bisogno di acqua e dislivelli. Producono meglio non dove serve, bensì dove c’è la materia prima rinnovabile. E poi quella corrente va trasportata dove serve, con inefficienze e costi. Se gli idrocarburi hanno alta densità energetica e di nucleare e concentratissimo, le grandi rinnovabili hanno bisogno di vasti spazi per raccogliere il sole, il vento, la pioggia”.
Per Giliberto, dunque, la vera sfida della Cop di Edimburgo è quella di individuare tecnologie capaci di superare i limiti delle rinnovabili, a partire da quelle capaci di catturare nell’aria l’anidride carbonica: “l’anidride carbonica può essere catturata dall’aria e trasformata in legno, e questo lo fanno le piante con la fotosintesi clorofilliana, oppure può essere iniettata nel sottosuolo e trasformata in roccia calcarea, in quel carbonato di calcio di cui sono fatte le montagne, e questo lo fanno il calcio del sottosuolo e le tecnologie umane che con grande sforzo energetico vi iniettano la CO2”.
Insomma, più che stanziare soldi per piantare alberi, il G20 e la Cop dovranno magari puntare le risorse su impianti in grado di catturare e seppellire la CO2 nel sottosuolo dove mineralizzarla in calcare, “come l’impianto avviato in estate in Islanda o quello progettato dall’Eni in un vecchio giacimento vuoto dl metano al largo di Ravenna”.
Ma il CCS (Carbon Capture and Storage) è veramente una soluzione percorribile? Lo abbiamo chiesto a Francesco Ferrante, vice-presidente del Kyoto Club e senior partner di eprcomunicazione.
Dunque, il CSS – sostiene Ferrante nel video – presenta pro e contro. Da una parte, quelli che sostengono che non ci sono esperienze sicure e che quindi sarebbe uno spreco di soldi e ricerca. Dall’altra, quelli che sottolineano che i prototipi in Norvegia stanno dando risultati tali da puntare su questa tecnologia. Entrambi gli “schieramenti” hanno le loro ragioni, anche se il sospetto che i secondi vogliano continuare a sfruttare il fossile, rinviando la decarbonizzazione, è forte…