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Ambiente

Greenwashing, 5 modi per capire se un’impresa è realmente green

Dicembre 26, 2021 By

A parole tutte le aziende sono green, tutte sostenibili. Ma poi la realtà è diversa…

E uno dei termini più usati del momento. E non ha una connotazione positiva. Anzi, proprio il contrario visto che sfrutta un impegno nobile come quello per la salvaguardia dell’ambiente. Parliamo del greenwashing, neologismo che deriva da due parole inglesi: “green” nel senso di ecologico e “whitewashing” (letteralmente “imbiancatura”) nel senso di camuffare, mascherare. Insomma, “tintura verde” per indicare un’azienda o un ente che comunica al mercato una sensibilità ecologica nelle proprie attività, senza che ciò corrisponda a verità.

Quello del greenwashing è un fenomeno (purtroppo) in forte crescita. Di pari passo con la sensibilità per l’ambiente nella nostra società. A parole tutti sono green, tutti sostenibili. Ma poi la realtà è diversa. Certo, a volte le aziende si dichiarano sostenibili (senza requisiti reali) in buona fede. Capita, infatti, che imprenditori sposino cause green e su queste incentrino campagne di marketing, trascurando le cautele del caso (il consiglio è quello di fondarsi su dati scientifici e non esagerare i benefici ambientali o sociali conseguiti). Più spesso, però, la “tinteggiatura verde” ha origini truffaldine e nasce – come accennato – dall’obiettivo di accreditarsi come green e sostenibili agli occhi di consumatori e società. Ed è un gioco “sporco” di non poco conto, capace di integrare diversi tipi di illeciti come pubblicità ingannevole, pratiche commerciali scorrette o atti di concorrenza sleale.

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Complice la proliferazione di normative in materia di Esg – acronimo per environmental (ambiente), social e governance, tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare e controllare la “sostenibilità di un’azienda” – nel nostro ordinamento e a livello europeo, per la giustizia non è sempre facile perseguire pratiche di greenwashing. A rimetterci, come sempre, consumatori e investitori. Difficile per loro sapere se e quanto un prodotto o un’azienda sono veramente green. Per questo diventa utile un identikit delle imprese Esg.

Ecco allora cinque indizi per riconoscere un’azienda veramente green.

1. L’esistenza di un responsabile o di un’intera struttura dedicata. Se la sostenibilità trova spazio solo nell’area marketing o comunicazione è un brutto indizio; al contrario, se c’è un responsabile, un comitato e un’interazione con altre aree vuol dire che la transazione ecologica non è solo fuffa.

2. Un progetto organico e non solo una lista di cose da fare. In altre parole, dev’esserci una strategia. Magari un piano industriale pluriennale, capace di supportare gli obiettivi europei del Green Deal.

3. Accettare che il proprio impegno venga quantificato con parametri seri e condivisi. Un’azienda orientata alla sostenibilità non può non misurare le sue attività. Un esempio: calcolare magari con l’analisi del ciclo di vita (o life cycle assessment) gli impatti di un bene dall’approvvigionamento o estrazione delle materie prime fino al suo smaltimento.

4. Il coinvolgimento di terze parti come organismi di certificazioni, enti pubblici, ong e associazioni. Non solo azionisti, fornitori o dipendenti. Un altro indizio della sostenibilità è dato dal coinvolgimento e dal dialogo con soggetti terzi.

5. Capacità di raccontare quel che si fa. Comunicare messaggi vuoti, senza legami all’attività dell’azienda è una classica espressione di greenwashing. Al contrario, storie che raccontano miglioramenti concreti (ad esempio, l’utilizzo di packaging riciclabile a minore impatto ambientale) hanno un senso e sicuramente più possibilità di essere apprezzate dal pubblico. E non è poco. Anche perché a pensarci, con il tempo la tintura di verde svanisce…

I cinque punti sono stati tracciati dal professor Carlo Alberto Pratesi (ordinario presso l’Università Roma Tre e presidente dell’European Institute for Innovation and Sustainability (Eiis) e da Ludovica Principato (docente di Marketing all’Università Roma Tre) in un articolo dell’Economia del Corriere della Sera dell’11 novembre 2021.