Il tabù “politico” dei termovalorizzatori
Il ministro dell’Ambiente ha dichiarato di voler «affamare» gli inceneritori. Ma sulle discariche, ultimo sistema di gestione nella gerarchia europea, non c’è altrettanta fermezza. Una contraddizione di natura ideologica e politica che Chicco Testa “smaschera” in questo editoriale pubblicato sul Corriere della Sera del 7 novembre.
La decisione della Giunta Regionale del Lazio di «dismettere» e riconvertire l’impianto di termovalorizzazione di Colleferro, segue analoghe indicazioni degli ultimi mesi. Il no del ministero Ambiente all’impianto proposto da A2a in Sicilia, il no del governatore della Toscana al nuovo impianto previsto per l’area metropolitana fiorentina, la recente chiusura dell’impianto di Pisa. Lo stesso ministro dell’Ambiente ha recentemente dichiarato di voler «affamare» gli inceneritori, ma non ricordo che abbia detto di voler affamare le discariche (ultimo sistema di gestione nella gerarchia europea). Che senso ha un tale accanimento «politico» nei confronti di questa tecnologia? Nessuno. Vediamo alcuni dati. In Italia nel 2016 va a recupero energetico (incenerimento, termovalorizzazione) circa il 18% dei rifiuti urbani, contro il 40-50% che ancora va in discarica. La priorità di politica ambientale dovrebbe quindi essere ridurre la discarica, invece si parla dell’incenerimento.
Gli impianti esistenti si concentrano nel centro Nord (sopra Roma), il centro Sud presenta un deficit impiantistico importante. La Sicilia che si permette il lusso di dire no ad un impianto di termovalorizzazione efficiente e sicuro, smaltisce in discarica l’85% dei suoi rifiuti. Il Lazio, che si permette il lusso di «chiudere» un impianto esistente, ha una capacità di incenerimento di 375.000 tonnellate (Colleferro e San Vittore) pari al 12% dei rifiuti urbani (andrebbe al 9% senza Colleferro) ed esporta la maggior parte dei rifiuti prodotti dalla città di Roma (unica Capitale europea che non dispone di uno o più impianti propri). Se Napoli non avesse il termovalorizzatore di Acerra sarebbe in crisi permanente.
Il governatore del Lazio indica la strada di «superare l’incenerimento». Perché? La nuova direttiva rifiuti indica un obiettivo del 65% di riciclaggio vero (obiettivo ambizioso) e limita il ricorso alla discarica al 10% dei rifiuti urbani, quindi il 25% è destinato a recupero energetico (nel 2018 siamo a circa il 15%, gli impianti quindi mancano, non sono troppi, ne vanno aperti di nuovi, non chiusi!). Il recupero energetico è una tecnologia usata in tutta Europa, serve a produrre energia elettrica e calore, a ridurre le emissioni di gas serra e nessuna norma europea ne prevede l’abbandono. Certo, è una tecnologia da usare per una quota marginale, ma importante dei rifiuti urbani (quelli non riciclabili e gli scarti del riciclaggio), circa un quarto del totale.
La mancanza di impianti di termovalorizzazione per i fabbisogni esistenti produce effetti noti (e poco raccontati dai sostenitori del piano «rifiuti zero»): o si va in discarica o si esporta incenerimento in altri paesi o in altre regioni, magari senza dirlo troppo a voce alta, trasformando rifiuti urbani in speciali. Perché questa ipocrisia è evidente a chiunque faccia due conti? Semplice, perché la comunicazione politica ha individuato l’incenerimento come facile capro espiatorio, come elemento simbolico da gettare in pasto ad una opinione pubblica impaurita. Se seguisse un ragionamento razionale promuoverebbe il riciclaggio, punterebbe a «discarica zero» e individuerebbe un numero ragionevole di impianti di termovalorizzazione. Come fa la Lombardia e l’Emilia, come fanno tutti i Paesi europei avanzati.
Il caso di Colleferro è particolarmente significativo. La proposta tecnologica che la giunta regionale avanza andrà capita e valutata quando sarà presentata nei dettagli. Ma rischia di trasformare un impianto finale (l’attuale termovalorizzatore di Colleferro) nell’ennesimo impianto intermedio (come se non avessimo già abbastanza Tmb o Tm, nel Lazio ce ne sono 10), che sposta il recupero energetico altrove, una specie di trucco, comodo per chi non vuole decidere cose complicate e cerca facile consenso.
I rischi di questa strategia del trucco sono elevatissimi. Senza impianti finali il Paese sta già oggi rischiando la paralisi. Non abbiamo discariche sufficienti (e non potremmo usarle in futuro per i limiti della nuova direttiva), il mercato del riciclo ha le sue instabilità (il blocco recente della Cina), gli impianti di termovalorizzazione del Nord Italia e del Nord Europa sono pieni ed i prezzi aumentano. Una strategia nazionale seria punterebbe a dotare il Paese di una rete di impianti sufficiente per i nuovi obiettivi europei, riducendo l’esportazione. Stiamo giocando con il fuoco, ed i rischi di blocco del sistema rifiuti sono all’orizzonte. Non è tempo di demagogia e battaglie identitarie non basate su fatti reali, è tempo di decisioni serie e concrete.