Approfondimenti

La responsabilità sociale dei capitali

Aprile 19, 2018 By

La finanza d’impatto apre nuovi orizzonti a chi vuole creare valore sostenibile: l’analisi di Leonardo Becchetti (Facoltà di Economia dell’Università di Roma di Tor Vergata) sul Sole 24Ore

La società e l’economia globali sono oggi sottoposte a una serie di formidabili fattori di rischio (climatico, sociale, politico) tra di loro correlati. Come affrontarli e come navigare in questo mare burrascoso (Navigating through a world of risk), è il tema di un incontro tra i gestori dei patrimoni delle maggiori fondazioni europee tenutosi a Milano.

L’innovazione nella finanza d’impatto sta facendo passi da gigante e scoprendo nuove frontiere come quelle dei green bond (emissioni obbligazionarie per finanziare investimenti ad alto impatto ambientale) e dei social impact bond (emissioni per finanziare migliori progetti a impatto sociale) che hanno arricchito il set di strumenti con i quali gli investitori possono contribuire alla creazione di valore economico sostenibile.

Ma tutto questo non basta. Il dramma (e la sfida), come sottolineato dal governatore della banca d’Inghilterra Mark Carney in un suo famoso discorso di qualche tempo fa, è la cosiddetta «tragedy of the horizons», ovvero l’incapacità dei mercati finanziari di incorporare correttamente questi rischi all’interno degli orizzonti solitamente utilizzati per le valutazioni dei prezzi delle attività finanziarie. A differenza di quanto avviene quando siamo in macchina i mercati finanziari schiacciano il pedale del freno troppo tardi davanti al muro del pericolo, ovvero hanno visioni troppo “shortermiste” (o preferenze intertemporali non abbastanza pazienti) che impediscono di vedere i pericoli per tempo. Se questo infatti avvenisse correttamente, ovvero se tali rischi venissero pienamente considerati e prezzati, i mercati finanziari avrebbero in sé gli anticorpi per risolvere il problema e imprese e investitori riceverebbero gli incentivi corretti.

Qualcosa comincia a muoversi sul fronte della sostenibilità ambientale dove il rischio è più manifesto, vediamo più chiaramente davanti a noi il problema dell’emergenza climatica e l’aspettativa di un irrigidimento della regolamentazione di stati e amministrazioni locali più elevata. Una recente indagine econometrica su circa 28mila osservazioni mensili dimostra che il rapporto prezzo/utili di imprese con elevata reputazione ambientale è significativamente superiore a quello di imprese con bassa reputazione ambientale dopo aver controllato per tutti i fattori rilevanti (e i casi paradigmatici del raffronto tra Tesla e Ford in termini di valore di mercato confermano quest’indicazione). Segno che i mercati applicano alle seconde un premio di rischio maggiore e aspettano utili futuri minori, coerentemente col fatto che investire in fonti fossili è oggi più rischioso che in passato.

Nel settore della sostenibilità ambientale un ruolo attivo fondamentale l’hanno avuto proprio i grandi investitori istituzionali che hanno iniziato a “votare con i loro portafogli”. Una coalizione di fondi che rappresenta circa 10mila miliardi di dollari di masse investite ha siglato infatti il Montreal’s pledge, iniziando a misurare l’impronta di carbonio del loro portafoglio titoli con l’obiettivo di aumentare la pressione alla decarbonizzazione dei giganti del settore.

Dove ancora la svolta appare lontana è sul fronte del rischio sociale. È del tutto evidente infatti che nella società globale sono in moto alcuni meccanismi, come la corsa al ribasso sul costo del lavoro poco specializzato e la quarta rivoluzione industriale, che amplificano i differenziali salariali per competenze e le diseguaglianze. Queste ultime a loro volta provocano giganteschi flussi migratori, influenzano componenti dominanti degli elettorati nazionali scatenando reazioni populiste e ambientando il rischio politico, e sono le basi per possibili nuove crisi da sovraindebitamento di chi si sforza di rispondere con la leva del debito all’imperativo della crescita dei consumi pur in presenza di potere d’acquisto calante.

Sarà possibile nel corso dei prossimi anni operare su questo fronte su cui le preoccupazioni sono crescenti in modo simile a quanto avvenuto su quello ambientale? Trasformando cioè la sostenibilità sociale in un fattore competitivo opportunamente prezzato sui mercati finanziari? Probabilmente, e in analogia con quanto accaduto sul fronte ambientale, l’obiettivo è raggiungibile solo con un’azione convergente dell’azionariato attivo dei grandi investitori e un’azione coerente promessa e attesa da parte delle istituzioni che renda ancora più rischiosa la scelta dell’irresponsabilità sociale.
Di fronte a questi scenari la sfida e il ruolo dei grandi gestori di patrimoni è in fondo duplice e convergente. Da una parte si tratta di individuare percorsi di sostenibilità per le masse gestite tenendo propriamente conto dei rischi presenti e futuri sui mercati. Dall’altra si può e si deve essere consapevoli di non essere solo spettatori dei cambiamenti, ma di avere la fortuna di poter giocare un ruolo attivo decisivo sul fronte della sostenibilità.

Non si tratta dunque per i grandi gestori di acquistare un biglietto della lotteria dove le probabilità di vincite sono indipendenti dal loro comportamento. Si può invece e si deve avere il coraggio di incidere politicamente in modo attivo perché le probabilità di un esisto positivo nelle strategie scelte possono essere significativamente e positivamente influenzate dalla politiche attive del loro portafoglio e da forme di azionariato attivo, oggi sempre più frequenti, nelle quali i grandi investitori, con la forza del peso del pacchetto di voti e risorse che rappresentano, chiedono alle imprese di fare un’opzione chiara per un sentiero di responsabilità ambientale, fiscale e sociale per ridurre i rischi del loro investimento nell’interesse dei risparmiatori che rappresentano.