ApprofondimentiNews_alvearia

Per ridurre le discariche servono nuovi impianti

Aprile 26, 2019 By

L’Italia ha bisogno di impianti (soprattutto per il trattamento della frazione organica), per smaltire i rifiuti. Pena: l’impossibilità di chiudere il ciclo dei rifiuti e diminuire la percentuale dei rifiuti in discarica al 10%, così come fissato dall’Ue per il 2035. Ecco, in sintesi, l’allarme che emerge dal “Rapporto sul Recupero Energetico da rifiuti in Italia”, il documento curato da Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, ambiente ed energia) in collaborazione con Ispra e presentato a Roma lo scorso aprile.

E ora veniamo ai numeri del rapporto per capire meglio la situazione italiana. Nel 2017, 180 impianti (tra inceneritori e digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione) hanno prodotto 7,6 milioni di MWh di energia in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,8 milioni di famiglie. Una quantità importante, ma di certo non sufficiente. Basti pensare che l’Italia destina alle discariche il 23% dei rifiuti a fronte dell’obiettivo del 10% individuato dall’Ue entro il 2035. Insomma, inutile girarci attorno: se si vuole diminuire il conferimento in discarica (che, va ricordato, da un punto di vista ambientale non è la soluzione ideale) e aumentare le energie rinnovabili, occorrono più impianti.

Pochi impianti e mal distribuiti

E siamo al cuore del problema. Gli impianti, per l’appunto. Lungo la penisola ce ne sono pochi e mal distribuiti. Un problema, quest’ultimo, che non è affatto solo statistico. «È evidente che bisogna intervenire per una migliore redistribuzione», spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia. «La carenza impiantistica, infatti, fa sì che i rifiuti debbano essere trasportati in regioni lontane, se non all’ estero, producendo maggiori impatti ambientali nella corretta gestione dei rifiuti».

I numeri parlano chiaro. Partiamo dagli impianti di digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti urbani. Nel 2017 ne sono stati operativi 55: 47 al Nord, 2 al Centro e appena 6 al Sud. Migliore distribuzione per quanto riguarda la digestione anaerobica dei fanghi di depurazione: degli 87 impianti attivi nel 2017, 45 sono stati al Nord, 17 al Centro e 25 al Sud.

Infine, la situazione più delicata. Quella degli inceneritori. Nel 2017 sono stati operativi 39 impianti di incenerimento (che hanno trattato 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti) di cui 26 al Nord, 7 al Centro e 6 al Sud. Evidentemente pochi, se si considera che la maggior parte è al collasso. E, nonostante il Paese rischi la paralisi rifiuti (in certe città o zone difatti già c’è) non sono previsti nuovi inceneritori. Anzi, rispetto ai dati raccolti, nel frattempo hanno chiuso quelli di Colleferro e Ospedaletto. Eppure, soprattutto per polveri, ossidi di zolfo e monossido di carbonio, le emissioni in atmosfera degli impianti in questione sono più basse rispetto ai limiti previsti dalla normativa.

I no della politica

E qui entriamo nella terza grande questione relativa agli impianti. L’Italia sconta l’atteggiamento Nimby, ma ancor di più la chiusura e gli opportunismi della politica. «L’ostilità della politica verso questi impianti rende tutto è più difficile e crea un problema», dice sempre Brandolini. «Un impianto di termovalorizzazione piuttosto che di digestione anerobica non è un tema di confronto politico. Il nostro è un ragionamento meramente tecnico: la gestione del ciclo dei rifiuti è molto complessa e articolata e richiede organizzazione di carattere industriale e una dotazione impiantistica. I termovalorizzatori, che sono gli impianti più discussi, sono una componente di un ciclo digestione dei rifiuti corretto, efficiente ed efficace e, inoltre, si tratta di una tipologia impiantistica fortemente diffusa in tutta Europa».

Cosa fare? Il vicepresidente di Utilitalia ha le idee chiare: «Bisogna fare una buona in formazione e dare maggiore importanza alle informazioni scientifiche e tecniche. Gli impianti per il trattamento dei rifiuti sono necessari. I rifiuti non si eliminano per proprio conto e non si autoriciclano, ma vanno comunque trattati per essere avviati al riciclo anche quando raccolti in maniera differenziata».