WeWorld: serve un patto tra giovani e istituzioni contro i cambiamenti climatici
Margherita Romanelli parla di #ClimateofChange, un progetto che coinvolge diversi paesi per promuovere una maggiore consapevolezza dei giovani europei in ambito ambientale.
Margherita Romanelli è la Coordinatrice Policy & Advocacy Internazionale di WeWorld, l’organizzazione italiana indipendente impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne e bambini in Italia e in altri 26 paesi.
Con lei abbiamo parlato del progetto Climate of Change, anche alla luce della recente COP27. La campagna paneuropea coinvolge 16 organizzazioni e WeWorld è il capofila del progetto. Lo scopo è quello di sviluppare la consapevolezza dei giovani europei in ambito ambientale, soprattutto ora che le migrazioni stanno dimostrando le conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico: un nesso sempre più stretto ed evidente.
Siete partiti per la COP 27 con un gruppo di ragazze, che sono state coinvolte nel progetto. Che esperienza è stata?
Un’esperienza utile ed entusiasmante. È stato bello coinvolgerle in un evento così importante. Si tratta di ragazze che avevano già partecipato a diverse iniziative nelle università e nelle scuole sui temi dei cambiamenti climatici, all’interno del progetto. Per loro è stata una grande occasione, anche perché sono state parte attiva in una realtà internazionale così prestigiosa. Hanno sottoposto le loro istanze, hanno espresso le loro richieste ai policy maker.
Una tappa di un percorso che, immaginiamo, non sia finita con la COP 27…
Esatto. A marzo, per esempio, ci incontreremo a Bruxelles con le istituzioni europee per parlare ancora di questi temi e dei risultati del progetto. È un modo per rendere realmente protagonisti i giovani, mettendoli a contatto con le istituzioni nei luoghi dove si prendono le decisioni.
Margherita Romanelli
Guardando la “foto di famiglia” dei leader globali scattata all’inizio della COP 27 abbiamo visto solo sette donne in un gruppo di centodieci leader. Come lo spiega?
In effetti alla COP 27 la componente femminile era sottorappresentata. Eppure le donne sono le prime a subire le conseguenze dei cambiamenti climatici. Nei Paesi dove gli effetti sono più devastanti, le donne sono quelle che il soggetto debole: si salvano meno nei momenti di disastro ambientale, soffrono di più – per cause anche sociali – la scarsità di cibo e acqua. Le donne, infatti, tendono a privarsene a vantaggio degli altri componenti della famiglia. Per fortuna, c’è una nuova generazione di attiviste ambientali in tutto il mondo. Non solo in Occidente, ma anche nei Paesi meno sviluppati.
È per questo che avete scelto di selezionare una delegazione composta interamente da ragazze?
In realtà, sono venute solo ragazze perché si sono mostrate più interessate. Il nostro intento era solo rimuovere le barriere, dando pari opportunità a uomini e donne. Alla fine, sono state cinque ragazze ad aver colto questa opportunità: forse è una tendenza femminile quella di essere più costante e coerente nell’attivismo. Detto questo, ovviamente, ci farebbe piacere coinvolgere in futuro anche dei ragazzi.
Wanjira Maathai, ambientalista keniana figlia di Wangari, Premio Nobel per la pace per l’impegno in favore della riforestazione e dei diritti umani, ha dichiarato che è stata una COP attenta all’Africa. È d’accordo?
Di sicuro questa edizione della COP 27 ha raccolto le richieste dei Paesi meno sviluppati. Parliamo di Paesi che utilizzano meno quelle risorse energetiche che contribuiscono al cambiamento climatico, ma che paradossalmente ne sono maggiormente danneggiati. Aver accolto, seppure in parte, queste istanze è molto importante: vuol dire aver aperto gli occhi su cosa sta accadendo in Africa. E non solo lì: anche nei Paesi del sud est asiatico e del Sudamerica, esposti a fenomeni climatici che ne mettono a rischio l’esistenza stessa.
Come valuta complessivamente la COP 27?
Bilancio non positivo, ma nemmeno fallimentare. Sotto certi aspetti, la crisi energetica è stata anche un alibi per rinviare decisioni utili alla transizione energetica. Dispiace che, a latere degli accordi della COP, ci siano stati accordi bilaterali tra i Paesi (anche europei) per la ricerca di nuovi approvvigionamenti fossili. Ma qualcosa, come detto prima, è stato fatto. In particolare, è stato istituito il “Fondo perdite e danni”, voluto soprattutto dai Paesi più poveri – responsabili solo in minima parte del riscaldamento globale – come forma di risarcimento a fronte dei disastri prodotti dal cambiamento climatico.
Attiviste del progetto #ClimateofChange alla Cop27
Quali sono i Paesi più recalcitranti di fronte alle iniziative contro il cambiamento climatico?
Una premessa importante: le posizioni dei vari Paesi non vanno considerate in maniera “monolitica”. Al loro interno, esistono orientamenti diversi. Pensiamo al Brasile: la recente vittoria di Lula segna un ritorno al riconoscimento dei diritti dell’ambiente e delle popolazioni indigene, dopo la parentesi negazionista di Bolsonaro. Negli Stati Uniti abbiamo assistito a una situazione simile con il passaggio da Trump a Biden. Idem per l’Australia: con il nuovo governo di orientamento progressista è cambiata la sensibilità sui temi ambientali.
C’è sufficiente consapevolezza del tema nei paesi più ricchi?
Il tema del cambiamento climatico è stato messo al centro del dibattito in tutto il mondo. Tuttavia, anche di fronte alle conseguenze più estreme del cambiamento climatico – di cui tutti vivono gli effetti sulla propria pelle – non sempre c’è la giusta consapevolezza: soprattutto, in merito alle cause e alle responsabilità locali e internazionali che lo producono. Per questo è importante supportare, con fondi e capacità tecniche, i Paesi più colpiti e dare voce alle loro istanze.
Manca la conoscenza delle cause del cambiamento climatico?
Sì, non sempre le persone sanno abbinare cause ed effetti. Non a caso, con il progetto Climate of Change, abbiamo fatto un’indagine intervistando circa ventimila giovani europei: è emersa la consapevolezza che è importante intervenire contro i cambiamenti climatici, ma anche la poca conoscenza sulla correlazione tra migrazioni e il climate change.
Per concludere, quali sono i vostri progetti per il futuro?
Abbiamo in cantiere diversi incontri e proposte: le centomila firme raccolte con la petizione di questi mesi in tutta Europa dimostrano quanto sia urgente parlare dell’impatto del cambiamento climatico. Sarà sempre più importante per i cittadini poter incidere sulle decisioni che verranno prese dai loro rappresentanti.