Biogas, quando l’energia rinnovabile viene bloccata

Febbraio 16, 2021 By

Transizione energetica. Se n’è parlato molto in queste settimane a proposito della crisi di governo, vista la richiesta del Movimento Cinque Stelle di istituire il Ministero della transizione ecologica come condizione per appoggiare il nuovo governo Draghi. Alla fine, il nuovo ministero ci sarà e avrà il compito di gestire una buona fetta dei 209 miliardi di euro del recovery fund, oltreché di guidare il Paese verso una rivoluzione verde e una transizione ecologica ormai inesorabili. In fondo, al netto delle beghe politiche, una buona notizia. Peccato che, poi, la cronaca ci racconti di un Paese ostaggio dei comitati nimby e delle convenienze del politico di turno sul territorio. Sì, perché si continua a parlare di transizione ecologica, di lotta ai combustibili fossili e di emergenza climatica, ma poi i fatti e le decisioni prese ci raccontano una realtà diversa.

Impianti biogas, cosa fanno

Qualche esempio? Sul Sole 24 Ore dello scorso 13 febbraio, Jacopo Giliberto ci racconta il caso degli impianti di biometano bloccati dai comitati del No. Parliamo di impianti che fermentano scarti agricoli e rifiuti organici raccolti con la differenziata e li trasformano in metano identico a quello estratto con le trivelle dai giacimenti nel sottosuolo e portato a noi con i gasdotti. Solo che, a differenza di quest’ultimo, non è combustibile fossile ed è a impatto climatico zero. Un’energia, dunque, pulita quanto flessibile, visto che il biometano non solo è utilizzabile come carburante nell’autotrazione, ma anche per la produzione di energia elettrica e in tutti gli usi finali del settore industriale e residenziale.

160 progetti fermi

Insomma, sarebbe una fonte energetica sulla quale puntare per la tanto decantata transizione energetica. Eppure, come rivela un censimento effettuato da Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club e senior partner di Epr, sono ben 160 gli impianti di biogas bloccati in Italia dal niet dei comitati ambientalisti!

L’ennesima opportunità persa da un Paese che, se desse seguito ai progetti di biometano, potrebbe sostituire la quantità nazionale di metano fossile che va esaurendosi con quella non fossile. L’Italia, infatti, oggi è il terzo produttore al mondo di biogas con oltre 1900 impianti in funzione e circa 2,8 miliardi m3 di biometano equivalente prodotti ogni anno, ma il suo potenziale di produzione è molto più grande: il consorzio biogas italiano stima che, entro il 2030, se ne potrebbe produrre fino a 10 miliardi l’anno.

Rifiuti, quante occasioni preferite

Purtroppo, di occasioni sprecate ce ne sono a centinaia lungo la Penisola. Giliberto racconta che la Sersys Ambiente di Rivoli (Torino) ha presentato i progetti di biometano a Civitavecchia (Ambyenta Lazio) e a Gricignano d’Aversa (Ambyenta Campania): sarebbe un toccasana per due regioni che esportano rifiuti al Nord e all’estero, ma nulla si smuove.

Ma niente! Ogni regione, ogni zona, ogni città deve vedersela con il rappresentante Nimby di turno e così i problemi finiscono nel tappeto e le soluzioni in soffitta. “Le contestazioni più comuni si basano su due slogan», osserva Ferrante. “Primo: l’impianto devasterà il nostro territorio, vocato al turismo culturale e all’agricoltura di qualità. Secondo slogan: questo impianto ci avvelenerà”.

La differenziata come mezzo, non fine

Non solo la questione Nimby: la vicenda italiana del biogas chiama in causa anche la questione della raccolta differenziata. Quest’ultima, infatti, va intesa come un mezzo e non un fine. In fin dei conti quello che conta non è tanto la quantità di rifiuti differenziata, quanto quella riciclata.

“La raccolta differenziata non è un modo di smaltire i rifiuti, ma solamente un modo di gestirli per facilitarne lo smaltimento quando ci sono gli impianti”, conclude Ferrante. “Chi si oppone alla costruzione degli impianti, dove pensa e come pensa di smaltire rifiuti the produce?” Come dargli torto…