I rifiuti urbani nuova frontiera del contagio?

Aprile 2, 2020 By

E se i rifiuti urbani fossero la nuova frontiera contagio? Un interrogativo che inquieta e ci rende ancora più vulnerabili dinanzi alla tragedia che stiamo vivendo. Ma soprattutto uno scenario da non sottovalutare, visto che proprio l’Istituto Superiore Sanità, in un documento, ha previsto tutta una serie di comportamenti e attenzioni che i cittadini devono affrontare. Perché sì, gli oggetti e, dunque i rifiuti, possono essere fonte di contagio del virus.

Quanto resiste il virus su oggetti e superfici?

E allora ecco l’altra domanda decisiva: quando resiste il virus su oggetti e vestiti? Difficile dirlo. Ai microfoni del Tg2, Paolo D’Ancona, medico epidemiologo dell’Istituto Superiore di Sanità, ha dichiarato che il virus può durare sulle varie superfici per un periodo cha va da qualche ora fino a nove giorni. Ma ha anche aggiunto che indicare la durata è praticamente impossibile. Anche perché vanno considerate una serie di variabili. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità, infatti, specifica che: «si deve considerare che i virus provvisti di involucro pericapsidico (envelope) – come il Sars-CoV2 – hanno caratteristiche di sopravvivenza inferiori rispetto ai cosiddetti virus nudi (senza envelope: per esempio, enterovirus, norovirus, adenovirus ecc.) e quindi sono più suscettibili a fattori ambientali (temperatura, umidità, luce solare, microbiota autoctono, pH, ecc.) e a trattamenti di disinfezione e biocidi».

Rifiuti urbani, cosa cambia

Nei prossimi mesi o anni la scienza ci fornirà le risposte. Intanto, lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha cambiato le modalità di raccolta della differenziata, distinguendo tra chi è risultato positivo (ed è in quarantena) dagli altri. Per i primi, infatti, c’è l’obbligo di interrompere la differenziata, seguendo alcune regole: a) porre tutti i rifiuti nell’indifferenziata, utilizzando due o tre sacchetti possibilmente resistenti, uno dentro l’altro; b) chiudere il sacco ermeticamente, con guanti monouso e metterlo fuori casa; c) gettare i guanti usati in nuovi sacchetti (sempre due o tre e resistenti) nell’indifferenziata; d) lavarsi le mani e disinfettare le mani.

Per tutti gli altri, invece, rimane la differenziata, con una modifica di rilievo: fazzoletti per raffreddore, guanti e mascherine vanno nell’indifferenziata sempre in due, tre sacchetti uno dentro l’altro e chiusi ermeticamente.

Si tratta di regole importanti da seguire per prevenire la diffusione del virus, ma anche per tutelare il personale che raccoglie ed entra in contatto coi rifiuti. Nel focolaio Lombardia – come riporta un’inchiesta di Milena Gabanelli per il Corriere della Sera – “gli operatori stanno svolgendo il servizio con tutti i dispositivi di protezione individuale necessari a svolgere l’attività, nel rispetto della vigente normativa in tema di salute e sicurezza sul lavoro, sono formati allo svolgimento dell’attività e informati circa tutti i rischi lavorativi connessi”. La questione, però, rimane delicata. Non a caso, poco più di una settimana fa, Confindustria Cisambiente, che raggruppa le imprese di tutto il settore della ecologia, dell’igiene ambientale e dell’energia rinnovabile da rifiuto, aveva reclamato l’assenza di mascherine per tutti i 90 mila addetti del settore che ogni giorno lavorano.

Dove smaltire i rifiuti? Un problema sempre più grande

L’emergenza sanitaria, infine, ripropone il problema dei rifiuti. In Italia, ogni giorno 550 tir trasportano i rifiuti in altre regioni della Penisola oppure all’estero (l’Austria una delle mete preferite) dotate di discariche e termovalorizzatori. Ben oltre 200 mila viaggi in un anno! Se il divieto di spostarsi fuori Regione e la chiusura delle frontiere dovessero prolungarsi, dove e come smaltiremo i rifiuti? Il rischio, detto in altre parole, è che alla più grande emergenza sanitaria di sempre si aggiunga una delle più grandi degli ultimi anni: quella dello smaltimento dei rifiuti.

Non a caso, l’emergenza sta causando, come effetto collaterale, un’aumentata produzione di rifiuti indifferenziati (in parte derivante dalle indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità) e una crescente difficoltà di collocazione dei rifiuti presso impianti nazionali e esteri per le restrizioni da essi adottate in via precauzionale. Al punto che, con circolare del 30 marzo 2020, il Ministero dell’Ambiente ha indicato alle Regioni e ai Comuni la possibilità di assumere ordinanze contingibili e urgenti ai sensi dell’art. 191 del Codice dell’Ambiente.

E allora, quando tutto tornerà alla normalità (se così si può dire) speriamo ci sia tempo e voglia per ripensare le nostre esistenze e il nostro ciclo produttivo. Servirà più economia circolare e con essa anche più impianti moderni di smaltimento.