Incendi Australia, 3 cause del disastro
Dopo l’Amazzonia, anche l’Australia brucia. In queste settimane, in rete e sui media, si sono susseguiti cifre sul disastro ambientale che sta investendo il Paese. Quali vere, quali no? E poi ci sono altri interrogativi. Quali i motivi? Quali le cause? Di chi le responsabilità? Cerchiamo di fare ordine a partire da un breve fact-checking sulle cifre diffuse in questi giorni.
Flora
Si calcola che le fiamme abbiamo distrutto un’area di 8 milioni di ettari (Galles del Sud, Queensland, Sud Australia e Victoria). Su questo dato, non si sono dubbi. Magari, dire che sta “bruciando un continente” sarà esagerato, visto che l’Australia ha 769 milioni di ettari, ma si tratta comunque di una superficie veramente ampia. Per capirci, l’equivalente di Lombardia, Veneto e Piemonte messi insieme. Mica poco!
Fauna
Fanno molta impressione le immagini di koala e canguri morti o scampati (anche grazie ai soccorsi umani) ai roghi. Sono diventati il simbolo di questa sciagura. Ma quanti animali sono rimasti uccisi dagli incendi? Il numero che circola è di oltre un miliardo ed è una stima effettuata da Charles Dickman. In base a cosa? Il professore di biologia dell’Università di Sidney ha effettuato il seguente calcolo: è partito dal dato di un recente report secondo il quale in un ettaro di un terreno del Nuovo Galles del Sud – uno degli Stati australiani colpiti dalle fiamme – vivono in media 167,7 animali (17,5 mammiferi, 20,7 uccelli e 129,5 rettili) e lo ha moltiplicato per l’area dello Stato bruciata in questi giorni, ottenendo così il numero di circa 500 milioni di animali. Dopodiché ha fatto la stessa operazione per gli altri territori coinvolti e, infine, ha aggiunto al conto il numero degli invertebrati (insetti compresi). Risultato: 1 miliardo e 250 milioni di animali. Dato quasi vero. La cifra, infatti, indica il numero degli animali coinvolti negli incendi e non quelli effettivamente morti. Le cifre scritte in queste settimane, dunque, sono esagerate. Ma c’è poco da stare allegri. Il bilancio – alcune stime precauzionali parlano di centinaia di milioni di animali morti – rimane drammatico. I roghi estivi, peraltro, hanno aumentato il pericolo di estinzione del koala. Proprio negli scorsi mesi, infatti, il Wwf e diversi esperti avevano lanciato l’allarme secondo cui l’animale rischia di scomparire nei prossimi cento anni, se dovessero permanere le attuali condizioni ambientali.
Piromani
Diversi social e siti hanno parlato dell’arresto di 200 piromani (una notizia spesso diffusa e usata dai “negazionisti climatici” per sminuire la responsabilità legate al cambiamento climatico). In questo caso, si tratta di una notizia falsa. Come precisato dalla polizia del Galles del Sud, le persone contro cui sono state azioni legali sono 183 (di cui 40 minorenni). Di questi, 24 sono accusati di aver acceso dolosamente gli incendi, mentre 159 di non aver rispettato misure di sicurezza.
Cause e responsabilità
E veniamo alle altre domande che la vicenda solleva. Perché un disastro ambientale di tale portata? Esistono responsabilità umane? Tanti i motivi, altrettanti i colpevoli. Siamo, in effetti, dinanzi a un concorso di responsabilità e circostanze. Per comodità, le abbiamo sintetizzate in tre punti:
1. Innanzitutto va detto che in Australia attualmente è estate (le stagioni sono spostate di sei mesi) e dunque ci troviamo in un periodo caratterizzato da molti incendi (il picco di questi eventi, purtroppo, avviene tra gennaio e febbraio). A questo si sono aggiunti, nei mesi scorsi, l’incremento anomalo delle temperature e la siccità. I venti più forti della media (soprattutto nel Nuovo Galles del sud del Queensland), infine, hanno fatto il resto. Il risultato, come detto, sono stati 6 milioni di ettari bruciati.
2. Gli incendi, quindi, sono il risultato di una tragica combinazione di eventi climatici. Ma liquidarla così, sarebbe troppo facile, oltre che falso. Perché purtroppo lo zampino dell’uomo c’è. Eccome. Dietro l’aumento delle temperature c’è il famigerato riscaldamento globale. Non è un caso che l’Australia sia risultata tra i peggiori Paesi nel Climate change performance index del 2020 (la classifica che valuta la politica climatica performance climatica dei principali Paesi del Pianeta) e di recente si sia sottratta all’impegno di ridurre le emissioni di CO2 contratto in precedenza a Parigi.
3. Nel gioco delle coincidenze, ha fatto la sua parte pure un altro fenomeno, conosciuto come Dipolo dell’Oceano Indiano (Niño indiano). Si tratta di un’oscillazione termica della superficie del mare che, alternativamente, porta aria più calda sulle coste australiane e aria più fredda su quelle africane. Da almeno 60-80 anni non veniva registrata una differenza così ampia tra le temperature.
E come se non bastasse, si è aggiunta una fase negativa dell’oscillazione antartica. Una fascia di venti a bassa pressione attorno all’Antartide che si sposta da nord a sud in base a diversi fattori. Il fenomeno avrebbe contribuito a portare aria calda sull’Australia, in particolare su un nuovo Galles e nel sud del Queensland, proprio dove ci sono i roghi più devastanti. In entrambi i casi vale il discorso fatto in precedenza: ci troviamo dinanzi a fenomeni climatici eccezionali, provocati (anche) dalle eccessive emissioni di CO2 nell’aria.
Quest’ultima considerazione ci porta a ribadire che il disastro australiano non è semplicemente un mix letale di causalità, disattenzioni ed eventi naturali. Le 24 vittime umane, le immagini dei koala terrorizzati e della vegetazione incenerite sono lì a dirci che gli stravolgimenti ambientali porteranno morte e distruzioni provocate. È finito il tempo di volatrsi dall’altra tempo o fischiettare facendo finta di nulla. È tempo di salvare il pianeta e noi stessi.