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L’innocenza del pipistrello, le colpe dell’uomo

Luglio 27, 2022 By

La veterinaria Stefania Leopardi: “Ho voluto mettere in discussione il punto di vista antropocentrico sui virus”.

“L’idea del libro è nata a seguito dell’emergenza Covid. La casa editrice voleva un contributo che ne spiegasse l’origine, con particolare riferimento ai fattori ecologici, ai cambiamenti ambientali, anche nel rapporto tra l’uomo e gli animali.” Stefania Leopardi spiega così la genesi del suo libro, L’innocenza del pipistrello. (eco)logica di uno spillover (Edizioni Ambiente). Il volume è pubblicato nella collana Simbiosi, espressamente dedicata all’equilibrio dell’ecosistema. “Cercavano un taglio molto personale. Il mio nome è suggerito fatto da Gianfranco Bologna della comunità scientifica del WWF, con cui avevo collaborato. Mi ha sponsorizzata come idea giovane.” Veterinaria di formazione, Stefania Leopardi lavora all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e si occupa di sorveglianze di malattie infettive nella fauna selvatica. In particolare delle zoonosi. “Ci sono alcune malattie che vengono trasmesse dagli animali all’uomo e viceversa per cui risulta sempre più importante capire quali sono i fattori che possono portare a questa trasmissione. Quello che faccio io, quindi, è andare a studiare i virus prima che arrivino all’uomo: quando ancora non sono un problema, ma circolano negli animali selvatici.”

Quale è il messaggio più importante che vuole trasmettere con questo libro?

L’obiettivo è quello di avvicinare le persone al mondo della scienza. All’inizio dell’epidemia la comunità scientifica è stata messa in discussione, come se avesse sbagliato ogni previsione: da lì in avanti, è stata ascoltata sempre di meno. Sembrava la gente avesse perso fiducia negli scienziati. Nel libro sostengo che abbiamo assistito a un processo live della scienza: sarebbe stato assurdo aspettarsi che tutti facessero subito la previsione corretta su qualcosa che non si era mai visto prima.

Come si svolge il suo lavoro di tutti i giorni? Come si studiano i virus?

Esistono un sistema di sorveglianza passiva e un sistema di sorveglianza attiva. Nel primo caso, analizziamo carcasse di animali. Nel secondo caso, andiamo a prelevare sangue, tamponi, feci e altri materiali dagli animali selvatici. Questo ci serve per capire le modalità di mantenimento dei virus: in che specie stanno, come sono trasmessi da un animale all’altro, se ci sono delle stagionalità oppure delle differenze a seconda della geografia e fattori di questo genere.

Come spiegherebbe il metodo scientifico ad una persona che non si occupa di scienza?

Fare scienza vuol dire formulare delle ipotesi e poi testarle. La scienza è sempre un’ipotesi che può essere confermata o smentita. In ogni caso, non si tratta mai di una verità definitiva: qualcosa è vero finché qualcuno non prova il contrario. Quando è arrivato il Covid, lo si è paragonato con la sua versione precedente, quella del 2003. Si pensava rimanesse circoscritto com’era avvenuto allora, quando non aveva avuto replicazioni massive. Invece, dati alla mano, ci siamo accorti che la situazione era molto diversa.

Da dove nasce il vaiolo delle scimmie, di cui si è tanto parlato tanto fino a qualche settimana fa?

Sono poco titolata a parlarne, visto che mi occupo di tutto quello che viene prima. Quando poi si trasmette all’uomo, la palla passa ai medici. Detto questo, tengo a dire che ancora una volta la scienza è stata messa da parte: lo chiamano vaiolo delle scimmie (Monkeypox) perché è stato ritrovato la prima volta in una scimmia (una scimmia da laboratorio, importata dall’Africa) ma in realtà questo virus non è mantenuto nelle scimmie.

Ci spieghi meglio…

Quello che si sa è che il virus viene ritrovato in diversi roditori africani e quindi il vero reservoir non è stato identificato. Si tratta comunque di roditori e non di scimmie. Va detto anche che, a proposito del vaiolo, una decina di anni fa c’è stato un altro cluster, anche se di dimensioni ridotte e rimasto localizzato in America, associato con certezza all’importazione di cani della prateria. Alla fine, se si va a indagare sulle cause più profonde degli spillover, ci si accorge che spesso alcune di queste cause sono riconducibili all’azione dell’uomo.

Quale portata potrebbe avere nei prossimi mesi?

Ad oggi la malattia ha una letalità molto ridotta rispetto al Covid, soprattutto in paesi con una buona sanità. Anche la trasmissione è molto diversa: non si trasmette per via aerogena, ma c’è bisogno di un contatto più stretto. Inoltre, abbiamo già un vaccino: questo virus è un cugino del vaiolo che non esiste più. Insomma, abbiamo più armi per gestirlo.

Un concetto molto importante del libro è il tema del One Health, secondo cui la salute umana e quella del pianeta sono una cosa sola. Di che cosa si tratta?

Dobbiamo iniziare a capire che cos’è davvero l’ecosistema. Noi siamo parte dell’ecosistema, ma non lo possediamo, non ne siamo gli unici beneficiari. Voglio dire: non ne siamo al di sopra, bensì all’interno. Se qualcosa si rompe, alla fine anche noi ne veniamo coinvolti. Queste è la grande intuizione del One Health. Che la sanità animale e quella dell’uomo fossero collegate lo sapevamo già: se mangio un animale malato, posso ammalarmi anch’io. Oggi però c’è maggiore consapevolezza di un punto fondamentale: tutto è collegato a tutto. Se la foresta è malata, allora anche la fauna selvatica ha qualche problema. Si tratta di un appoggio onnicomprensivo, che non coinvolge soltanto la veterinaria, ma anche la biologia, l’ecologia e ad un certo punto anche la sociologia.

leopardi pipistrello

Perché quando si parla di virus si citano così spesso i pipistrelli?

I pipistrelli sono diventati “di moda” dal 2005. Ai tempi dell’epidemia Sars, gli scienziati hanno individuato virus di quel tipo in alcuni pipistrelli. Nello stesso anno sono stati ritrovati anticorpi contro l’ebola in altri pipistrelli, così da lì si è iniziato ad approfondire tutto ciò che non si sapeva su questi animali. Si diceva che i pipistrelli avessero tanti virus. Vero, ma oggi però questa ipotesi è stata ridimensionata. I pipistrelli sono poco più di 14 mila specie diverse: stiamo dunque mischiando capre e cavoli. Dire che i pipistrelli hanno molti più virus dell’uomo – che è una specie sola – e risulta ancora una volta antropocentrico e sbagliato. In questi anni di studio si è visto è che i chirotteri riescono a convivere bene con questi virus, mentre per noi possono diventare pericolosi. E questo perché loro si sono evoluti con questi virus e noi no. Oggi non ci interessa quasi più quanti virus hanno, ma come li gestiscono.

Il terzo capitolo è dedicato alle origini del Covid. Quado ha capito che la situazione era davvero seria?

Come scrivo nel libro, ho avuto le prime notizie tramite una mailing list per addetti ai lavori. Erano riportati casi di polmonite atipica in Cina: capii subito la gravità della situazione. Se una notizia del genere filtrava dalla Cina – pensai – voleva dire che si trattava di qualcosa di grosso. Poiché si parlava di malattie respiratorie, ho subito pensato al coronavirus. Non immaginavo, però, che sarebbe stato un virus Sars, così come non immaginavo che sarebbe successo quello che è successo.

Che idea si è fatta sull’origine del Covid?

Sull’origine sappiamo poco. Probabilmente le dinamiche sono state le stesse della Sars: è emerso in uno dei mercati con animali vivi, non si sa se da pipistrello o da altro animale. Non si conosce l’ospite naturale: come detto prima, sappiamo che alcune specie di chirotteri sono portatrici di un’enorme variabilità di virus chiamati sarslike. L’ipotesi dunque è che SARS-CoV-2 si sia evoluto in questo serbatoio dei chirotteri. D’altro canto, sappiamo che alcuni cluster di virus sarslike ci sono anche in altri animali, come ad esempio il pangolino. Concentrarsi solo sui pipistrelli, dunque, sarebbe un errore. Potrebbe essere accaduto che il virus abbia potuto fare spillover dai chirotteri in un altro animale per poi arrivare all’uomo. Di sicuro adesso è difficile trovare la variante originale, anche perché il virus si sta evolvendo rapidamente.

È preoccupata per l’autunno?

Quello che mi sento di dire è che ormai è una malattia umana, endemica. Siamo vaccinati e adesso, piano piano, iniziamo ad avere anche un’immunità naturale. Come gli altri animali ci stiamo adattando a convivere con il virus. Difficile immaginare che scompaia.

Molto bella (e utile) l’idea, a fine libro, di spiegare alcuni concetti trattati attraverso immagini e metafore…

Le immagini sono realizzate da mia sorella Cristina Leopardi. Il fatto è che i concetti che volevo esprimere a me sono chiarissimi, mentre per chi legge non altrettanto. Quindi sono ricorsa a immagini e metafore, per aiutare il lettore a capire meglio i concetti.

Qual è il concetto più importante da spiegare?

Forse lo spillover. Spillover, in inglese, significa “straripamento”. Sarebbe la trasmissione di un patogeno da un animale in cui normalmente vive (ospite naturale) a un ospite accidentale, come per esempio l’uomo. Lo spillover, dunque, si riferisce proprio alla prima trasmissione e non a quello che succede dopo, che dipende dal virus e dall’ospite accidentale. Diversa è il “salto di specie”, che si ha quando il patogeno diventa abile a vivere nella specie nuova.

Lei sostiene, che per combattere il virus, sia molto importante l’igiene in campo (Field hygiene). Di cosa si tratta?

Vuol dire che un ricercatore, o comunque chi lavora con gli animali selvatici o in ambienti dove ci sono materiali biologici, deve tener presente una cosa: tutto quello che si trova in un posto dovrebbe rimanere lì. Per esempio: vado a fare campionamenti da pipistrelli in una grotta con scarponcini da montagna, poi torno a casa e spazzolo alla buona le scarpe. Il giorno seguente parto per gli Stati Uniti per un sopralluogo, sempre con le stesse scarpe. Ebbene, in questo modo succede che i patogeni della prima grotta finiscono nella grotta numero due. L’esempio delle scarpe non è casuale: la white nose syndrome è una malattia funginea che sta sterminando letteralmente i pipistrelli insettivori del nord America. È ormai assodato che il fungo sia stato importato negli Stati Uniti dall’Europa o dall’Asia. Ed è evidente che l’unica specie che fa questo tragitto siamo noi. Oggi alcune specie di pipistrello, un tempo diffusissime, sono sull’orlo dell’estinzione locale. È un dramma ambientale creato paradossalmente da chi questi animali li ama.

Questo richiama una dinamica poco considerata: spesso, siamo noi umani a disperdere in giro per il mondo patogeni pericolosi per piante e animali e non il contrario. Perché avviene questo passaggio?

Molto spesso siamo noi che ci mettiamo in situazioni di rischio e di pericolo, alterando il normale equilibro di questi animali selvatici. Noi stessi, se siamo molto stressati, rischiamo di ammalarci di più. Questo vale anche per gli animali. Ci sono delle condizioni che portano a un’alterazione del loro stato normale. E una popolazione animale non in salute, nel senso più ampio del termine, rischia poi di sviluppare un livello di virus più elevato del solito.

 

 

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