Rifiuti, in nove anni ultimato solo il 20% degli impianti
In nove anni solo un euro speso su cinque finanziati: soldi pubblici sprecati e occasione persa per chiudere il ciclo dei rifiuti.
In Italia, dal 2012 al 2020, sono state realizzate appena il 20% delle infrastrutture per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti. Conti alla mano, 1,55 miliardi finanziati per 1.841 infrastrutture, con il risultato di appena un euro su cinque speso e con un tasso di completamento che scende addirittura al 5,5% nel caso di interventi sopra il 10 milioni. A completare il quadro avvilente, anche 488 casi nei quali ai progetti non ha fatto seguito alcun lavoro. Numeri da brivido, messi nero su bianco dalla Corte dei Conti nel “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” che devono far riflettere e indurre il Paese a invertire la rotta una volta per tutte.
Insomma, c’è bisogno di un cambio di rotta. Lo impongono l’impegno con l’Europa per il Recovery Plan (nel Pnrr inviato dal governo a Bruxelles, la somma prevista per migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti è di 2,1 miliardi) ma ancor di più quello con il Paese. Perché nel caso in questione la beffa è doppia: spreco di risorse pubbliche e gestione dei rifiuti che, in molte aree dello Stivale, rimane deficitaria se non addirittura emergenziale. Senza dimenticare che con la pandemia e i rifiuti anti Covid, all’emergenza ambientale si aggiunge quella sanitaria. Con lo smaltimento di mascherine e guanti, infatti, c’è poco da scherzare.
La situazione dei rifiuti è nota da tempo: per chiudere in modo efficiente il ciclo della gestione dei rifiuti, è necessario ricorrere anche ai termovalorizzatori (parliamo di quelli moderni e sicuri). In tal senso, la stessa piramide dei rifiuti disciplinata dalla “Direttiva quadro sui rifiuti” n° 98 del 19 novembre 2008 (e recepita anche dall’Italia) non ammette dubbi: prevenzione, riutilizzo e riciclo da solei non sono sufficienti. Per chiedere ciclo rifiuti, è necessaria la termovalorizzazione degli scarti e il recupero (quando possibile) di energia da questi. Al contrario, la soluzione della discarica, che è quella più impattante per ambiente e pericolosa per salute umana, va ridotta. Tant’è che, per il 2035, l’Europa ha previsto una quota massima del 10% de i rifiuti urbani in discarica.
Tornando al rapporto, la Corte dei Conti ci dice che ad essere bloccate sono state le opere più grandi e certe tipologie di impianto, a partire dai termovalorizzatori (in Sardegna e Calabria, finanziati con 103 milioni e mai avviati), mentre hanno trovato meno ostacoli i centri di raccolta, probabilmente per merito di anni di campagne informative. A conferma che, oltre alle difficoltà burocratiche (presenti nella fase di studio di fattibilità e di progetto piuttosto che nella procedura d’appalto) c’è una questione culturale e di interessi più volte trattata in queste pagine. Una situazione talmente evidente che la stessa Corte dei Conti, nella sua relazione, ha evocato l’effetto Nimto (“not in my terms of office”, cioè “non durante il mio mandato elettorale”), che altro non è che la declinazione politico-amministrativa della sindrome Nimby.
Il post pandemia con il Recovery, dunque, è un’occasione da non perdere. E i numeri del rapporto sono lì a ricordarci che non è possibile sprecare altro tempo e altro denaro dei contribuenti.
Marco Di Eugenio, 21 giugno 2021