Migrazioni, un’emergenza su cui grava anche il cambiamento climatico
Il fenomeno del climate change ha ripercussioni per l’equilibrio degli ecosistemi naturali di molte regioni nel mondo e quindi per la vita stessa di intere popolazioni. Ecco alcuni dati su cui riflettere.
Il cambiamento climatico ha ripercussioni sugli ecosistemi naturali di molte regioni nel mondo e quindi per la vita stessa di intere popolazioni. Ecco le persone che, solo nei primi sei mesi dello scorso anno, hanno dovuto spostarsi dal luogo di residenza per gli effetti provocati del climate change
L’allarme è diventato una triste realtà. Solo nei primi sei mesi dello scorso anno sono state oltre 9 milioni le persone sfollate che hanno dovuto spostarsi dal luogo di residenza a causa degli effetti provocati dal cambiamento climatico a livello mondiale. Un’emergenza presente che, se non verranno adottate contromisure drastiche, potrà portare secondo le stime dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, 250 milioni di persone a migrare per sottrarsi a siccità, inaridimento e alluvioni.
Il fenomeno del climate change causa infatti pesanti ripercussioni su vaste aree del Pianeta che patiscono fenomeni atmosferici estremi e opposti quali improvvise inondazioni, la persistenza di ondate di calore anomale e lunghi periodi segnati dalla pressoché assenza di precipitazioni. Minacce concrete per l’equilibrio degli ecosistemi naturali di molte regioni nel mondo e quindi per la vita stessa di intere popolazioni che rischiano di non poter contare sul necessario accesso ad acqua, cibo e ad un luogo sicuro dove abitare.
Una situazione particolarmente evidente in Africa, soprattutto nella vasta regione del Sahel che si estende dalla Mauritania fini all’Eritrea. Solo a titolo di esempio, si stima che in Somalia ben oltre la metà degli abitanti è esposta al rischio di perdere l’accesso ad acqua potabile mentre più ad ovest, in Kenya, viceversa, sono decine di migliaia le persone che potrebbero dover essere sfollate per scampare il pericolo di inondazione causato dalla crescita del livello del bacino idrico della Rift Valley. Al continente africano si sommano poi le realtà del Sud Est asiatico, dell’America Latina e degli arcipelaghi del Pacifico i cui abitanti fanno già oggi i conti con la minaccia incombente dell’innalzamento delle acque oceaniche.
Infine, per l’Africa in modo specifico si prevede un’incidenza maggiore, al confronto con il resto del mondo, dell’impatto dell’aumento della temperatura media, che di qui ai prossimi decenni potrà essere superiore anche più di due gradi rispetto a quella attuale.
Quando parliamo di migrazioni climatiche, a gravare sul già serio quadro complessivo, vi è la questione del riconoscimento dello status di rifugiati ambientali. Ad oggi infatti non esiste un profilo giuridico internazionale che riconosca questa categoria di migrante, dal momento che attualmente si definisce rifugiato un cittadino che si trovi in un Paese estero per timore di essere perseguitato per motivi etnici, sociali, religiosi, politici. Una definizione che quindi non prevede l’assegnazione dello stato di rifugiato a seguito delle conseguenze del cambiamento climatico, anche per il fatto che molti fenomeni di migrazione avvengono all’interno di aree dello stesso Paese di appartenenza delle popolazioni in cerca di un futuro migliore.
Mattia Piola, 13 aprile 2021