Rinnovabili, 3 motivi per tornare a crederci
Proprio quando l’emergenza climatica e quella sanitaria provocata dal virus imponevano uno scatto di investimenti verso la decarbonizzazione, l’Italia ha rallentato sulle energie rinnovabili. L’ultimo rapporto RECAI (Renewable Energy Country Attractiveness Index) pubblicato da EY, se da una parte rileva una rapida ripresa delle rinnovabili dopo il Coronavirus (tra le performance migliori, quella degli Stati Uniti, che tornano primi a livello mondiale dal 2016), dall’altra evidenzia il rallentamento dell’Italia nella classifica dei 40 Paesi per attrattività di investimenti e opportunità di sviluppo nel settore delle rinnovabili. ll Bel Paese, infatti, è passato dal 17esimo al 19esimo posto, perdendo due posizioni rispetto a sei mesi fa.
Eppure l’Italia sul tema non è messa male: basti pensare che il 18% dell’energia italiana è generata da fonti rinnovabili (in perfetta media europea) e che l’8% dell’elettricità deriva dal fotovoltaico, contro la media europea del 4%. Il problema, appunto, è che ci siamo fermati. Dopo che, tra il 2009 e il 2012, la produzione di energia da rinnovabili era passata dal 7,8% al 21,4%, il triennio 2015-2018 ha registrato una crescita di rinnovabili installate dell’appena 0,3% (la media europea è stata dell’1,3%, con un +1,5% della Germania e un +2,6% della Gran Bretagna).
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Il motivo del rallentamento? Semplice: sono diminuiti gli incentivi a sostegno delle energie verdi. Una scelta politica da rivedere, sebbene vada ricordato come l’articolo 42-bis del Milleproroghe abbia previsto la possibilità di costituire comunità energetiche rinnovabili e di attivare progetti di autoconsumo collettivo da fonti rinnovabili.
Tornare a puntare, dunque, sulle rinnovabili e in particolare sull’eolico e fotovoltaico. Del resto, a rendere la scommessa tutt’altro che azzardata, c’è il fatto che nel frattempo i costi per la produzione di energia verde sono diminuiti. Se otto anni fa l’elettricità generata con eolico e fotovoltaico costava oltre 120 euro al MWh, oggi il suo prezzo si è quasi dimezzato.
Costi a parte, però, ci sono almeno tre motivi importanti per rilanciare la puntata sulle rinnovabili:
1. Le energie verdi, a differenza di quelle tradizionali (non rinnovabili), non solo rispettano le risorse provenienti dal mondo naturale, ma non inquinano e non si esauriscono, dal momento che hanno la capacità di rigenerarsi a fine ciclo.
2. Gli stessi investitori e clienti chiedono alle imprese non solo performance finanziarie, ma anche un apporto positivo alla società.
3. Le energie verdi sono soggette a finanziamenti da parte dell’Europa. Soprattutto dopo che Ursula von der Leyen ha indicato che uno degli obiettivi principali della Commissione Europea sarà promuovere il Green Deal europeo, cioè una serie di misure per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei. Non a caso, in un documento del 27 maggio, la Commissione ha quantificato il fabbisogno di finanziamenti annui per la “trasformazione green” in 470 miliardi, di cui il 70% proprio su clima ed energia.
Insomma, nonostante lockdown, il Green Deal è partito ed è un’opportunità ambientale ed economica da cogliere. Sbaglia, però, chi pensa che l’ambiente possa essere un pretesto per accedere a soldi pubblici. In un editoriale dello scorso 26 giugno, Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, si è soffermato sul fatto che, dopo anni, si è arrivati – con voto finale del Parlamento europeo, dopo intese con la Commissione e il Consiglio – a un regolamento per determinare quando un investimento possa considerarsi ecosostenibile. Come spiega Ronchi, infatti, sono da considerarsi come tali i finanziamenti “diretti verso attività che contribuiscano, in modo sostanziale, al raggiungimento di uno o più obiettivi ambientali indicati e che, perseguendo uno o più di tali obiettivi, non arrecano un danno significativo a nessuno degli altri. Gli obiettivi ambientali indicati dal Regolamento, irrinunciabili per l’ecosostenibilità, sono precisi e chiari: la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, la transizione verso un’economia circolare, assicurando anche la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi, la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento e l’uso sostenibile delle acque e delle risorse marine.”
Con l’individuazione di uno strumento giuridico per valutare il grado di ecosostenibilità degli investimenti, siamo dinanzi a una decisone forse passata un po’ sottotraccia, ma che avrà ripercussioni pratiche sia a livello di Paesi europei che nel settore privato. Il messaggio è chiaro: l’Europa vuole voltare pagina e ridurre l’impatto ambientale delle attività umane, al punto da investire miliardi euro. Ma non a fondo perduto…