3 motivi per non aver paura dei termovalorizzatori
Perché l’ostilità contro gli impianti di incenerimento è ormai equiparabile a mera superstizione.
Perché in Italia i termovalorizzatori – cioè, gli impianti di incenerimento dei rifiuti che recupero di calore – provocano tanta resistenza? Paura, interessi, cattiva informazione: cosa c’è dietro?
Qualche giorno fa, sulla Ragione (il nuovo quotidiano diretto da Davide Giacalone), Primo Mastrantoni, segretario dell’Aduc (associazione per i diritti degli utenti e consumatori) ha provato a dare delle risposte a queste domande. Per Mastrantoni, la paura per questo tipo di impianti ha un luogo e un data: Seveso, 10 luglio 1976, quando una nube tossica uscì da alcuni impianti industriali e contaminò l’ambiente. Da allora, nell’immaginario collettivo, l’emissione di diossine ha rimandato a quelle dei termovalorizzatori, impedendo all’Italia di avviare un serio programma di gestione dei rifiuti. A questa sciagura traumatizzante si sono aggiunti nel tempo – aggiungiamo noi – interessi e beghe locali dei vari comitati territoriali e politici (il cosiddetto fenomeno Nimto). Ma torniamo all’articolo in questione. Il segretario dell’Audc sottolinea come tanta avversità agli impianti di smaltimento dei rifiuti sia relegabile quasi a livello superstizione. La realtà, infatti, dice altro. Ecco perché:
1. In Europa si contano circa 500 termovalorizzatori, l’80% dei quali dista meno di 5 chilometri dalle città. A Vienna uno dei quattro in funzione si trova addirittura a mezzo chilometro dal centro. In Finlandia, c’è il caso virtuoso della citta di Lahti: premio europeo 2021 di “Capitale verde” per la qualità dell’aria, per la gestione dei rifiuti, per la crescita del verde e per l’eco-innovazione con un termovalorizzatore. Sarà un caso? Senza dimenticare il termovalorizzatore più famoso d’Europa, quello di Copenhill. Inaugurato nel 2017 a Copenaghen e costruito all’interno di un parco, sulle sue pareti si pima fare una arrampicata e sul tetto addirittura sciare. Non ultimo, alla sua base opera addirittura un ristorante. A conferma di come gli impianti moderni, oltre ad essere sicuri, possono creare anche benefici economici e sociali.
I benefici dei termovalorizzatori
2. Poi c’è la scienza. Uno studio dell’Imperial College sull’impatto delle diossine da termovalorizzatori ha preso in esame 22 inceneritori presenti del Regno Unito e analizzato un arco di tempo di 7 anni. Le conclusioni? Che impianti moderni e ben regolati hanno un impatto motto ridotto, quasi impercettibile, sulle persone che vivono nelle loro vicinanze.
3. Infine, le discariche. Tra i Paesi più evoluti, solo in Italia il riscorso alla discarica è così diffuso. Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, e Svezia, ad esempio, gestiscono i rifiuti urbani soprattutto attraverso il riciclo e i termovalorizzatori. Non a caso, per l’Ue la discarica rappresenta la modalità di gestione più inquinante. Al punto che, sempre a proposito del trattamento dei rifiuti urbani, Bruxelles ha fissato i seguenti obiettivi per il 2035: riciclaggio al 65%, valorizzazione energetica al 25%, consegna in discarica per il restante 10%. E non è nemmeno un caso che tra discariche e termovalorizzatori il rapporto sia inversamente proporzionato, come dimostra il confronto tra Berlino e Roma: se la capitale tedesca combusta il 40% dei rifiuti e invia in discarica il 4%, quella italiana termovalorizza il 16% ma spedisce in discarica il 30% dei rifiuti.
Insomma, è ora di lasciare paure, superstizioni e interessi di bottega da parte, per una gestione dei rifiuti virtuosa e al passo con i Paesi del nord-ovest europeo. Le fotografie di Roma immersa da rifiuti sono lì a ricordarci che il prezzo da pagare per queste (non) scelte è troppo alto.