Con la guerra in Ucraina transizione energetica a rischio?
Il conflitto di Putin ha creato un paradosso: in molti tifano per un ritorno al fossile. Ma sarebbe un errore…
Un paradosso: la guerra in Ucraina rischia di mandare in soffitta la transizione ecologica. Lo sostengono Roberto Della Seta e Francesco Ferrante, due figure di spicco della sostenibilità ambientale del nostro Paese, in un articolo uscito su Repubblica lo scorso 1° aprile. Vediamo perché, ripercorrendo il loro ragionamento attraverso quattro punti salienti dell’articolo.
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La guerra e il trionfo del paradosso
La guerra dimostra l’insostenibilità geopolitica dell’attuale modello energetico globale, fondato sulle energie fossili e dominato da pochi Paesi – come la Russia – che possiedono una quota rilevante delle riserve di gas e di petrolio. Il conflitto dovrebbe accelerare la “road‐map” dell’Occidente verso il 100% di energie pulite e rinnovabili, disponibili invece senza limiti e in ogni parte del mondo. Invece no: molti, in questi giorni, tifano per un ritorno alle energie fossili. Una scelta illogica e paradossale che comprometterebbe il cammino per fronteggiare la crisi climatica, senza risolvere la questione economica legata all’approvvigionamento dell’energia.
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Da “carnivora” a “erbivora”: chi tifa fossile
Cui prodest? Ovviamente alle grandi industrie fossili. Meno ovvio, però, che a tifare per un ritorno più massiccio al petrolio e al gas ci siano tanti intellettuali e commentatori. Tra questi, Federico Rampini: per il giornalista e saggista, dinanzi alla sfida di Putin, l’Europa deve farsi “carnivora” e smetterla di coltivare insulse fantasie “erbivore”. Insomma, per Della Seta e Ferrante, Putin e la sua politica neo‐imperiale stanno rappresentando un’insperata “sponda” per quelli che non amano la transizione energetica dall’era fossile a quella rinnovabile.
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Perché la transizione conviene
La transizione conviene all’Occidente e, in particolare, all’Italia. Nel “fossile” siamo larghi importatori dell’energia, mentre nel campo delle energie rinnovabili siamo indipendenti, sovrani e potenziali leader tecnologici. Senza dimenticare che oggi le nuove fonti rinnovabili ‐ sole, vento, geotermia, biometano ‐ hanno costi più contenuti rispetto a quelle tradizionali (nucleare compreso). Il tutto grazie ai progressi nella ricerca e nell’innovazione.
Se l’Europa avesse già azzerato o minimizzato l’uso di petrolio e gas, Putin sarebbe uno zombie e il caro bollette un non‐problema. Ecco perché – sostengono sempre Della Seta e Ferrante – i conservatori dello status quo energetico fondato sul gas sono anti‐europei.
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E ora delle rinnovabili
Nella situazione attuale di emergenza, giusto che Europa e Italia guardino ad altri fornitori attraverso i gasdotti mediterranei e i rigassificatori esistenti. Tutte infrastrutture sottoutilizzate – tranne il Tap – a vantaggio fino a ieri dei contratti con i russi più remunerativi per gli importatori ma non di imprese e famiglie italiane. Ma importare gas da altri Paesi (alcuni dei quali geopoliticamente tutt’altro che “stabili”) e scommettere sul gas “domestico” non può essere la soluzione. Anche perché – va ricordato – il calo della produzione di gas italiano (dai 20 miliardi di metri cubi all’anno degli anni ‘90 fino ai 3 di oggi) è avvenuta per ragioni di scarsa convenienza economica e di difficoltà tecniche di estrazione, non per colpa (o merito) degli ambientalisti. Non a caso la discesa (dai 20 miliardi di metri cubi all’anno degli anni ’90 fino ai 3 di oggi) era già scesa sotto i 10 miliardi di metri cubi annui prima del limite di 12 miglia dalla costa per i permessi di trivellazione fissato nel 2012 l’allora ministra dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo.
La conclusione, dunque, è invitabile. Sul gas abbiamo già dato. Da decenni il gas è protagonista (giustamente) della transizione energetica, visto il suo impatto ambientale e climatico inferiore a quello di petrolio e carbone. Lungo la penisola ci sono già decine di centrali termoelettriche a gas. Ora, però, è tempo delle rinnovabili.