Ecco dove finisce la plastica che l’Italia esporta
I Paesi occidentali producono e consumano troppa plastica che non riescono a riciclare e smaltire. Così, sono costretti a esportarli con un doppio danno: spendono tanto e li conferiscono in Paesi che spesso non li smaltiscono nel rispetto dell’ambiente. Sono questi alcuni dei dati più importanti emersi dal report Le rotte globali, e italiane, dei rifiuti in plastica di Greenpeace. Lo studio, basato su dati Eurostat, ha preso in considerazione ventuno tra i Paesi principali esportatori e importatori.
Export plastica, Italia all’undicesimo posto mondiale
Partiamo dai numeri. A livello globale, nel 2018, sono state delocalizzate 6 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica. Meno rispetto ai due anni precedenti (12 milioni e mezzo le tonnellate nel 2016 e circa 10 milioni nel 2017) ma comunque un dato da non sottovalutare. Anche perché i 6 milioni si riferiscono al periodo gennaio-novembre 2018. Sul podio dei tre Paesi esportatori di plastica ci sono Stati Uniti (16,5% della quantità mondiale delocalizzata), Giappone (15,3%) e Germania (poco più del 15%). Seguono Regno Unito e Belgio. E l’Italia? Noi, con 197 mila tonnellate di plastica del 2018 (circa il 2,25%) ci collochiamo all’undicesimo posto. Meno rispetto al biennio precedente, nel quale la media era stata di 250 mila tonnellate.
Austria, Germania e Spagna le nostre destinazioni preferite, che in totale prendono il 42,5% cento degli scarti plastici italiani. Crescono le quantità esportate in Romania e in Slovenia, ma anche in Paesi asiatici come la Malesia.
Export plastica, doppio male
Come dicevamo sopra, l’esportazione rappresenta un doppio danno. Uno alla bilancia commerciale dei vari Paesi costretti a pagare per disfarsi dei rifiuti, l’altro per l’ambiente. Il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, n.1013, prevede che rifiuti in uscita dall’Europa possono avere come destinazione solo Paesi in cui saranno trattati secondo norme equivalenti a quelle europee in merito al rispetto dell’ambiente e della salute umana. In realtà, direttamente o indirettamente, questo divieto viene aggirato. A farne le spese sono spesso gli oceani. E la situazione rischia di peggiorare con lo stop all’importazione della Cina, fino al 2017 destinataria di quasi tutti i rifiuti di plastica mondiali.
Soluzioni
L’Italia ad oggi è obbligata all’export perché nella penisola gli impianti di recupero e riciclo sono troppo pochi e di troppe piccole dimensioni per soddisfare le esigenze di smaltimento. Dunque, più impianti. Ma non solo. Serve un cambio di mentalità, come sottolinea nelle conclusioni Greenpeace. Che tradotto vuol dire ridurre la produzione di plastica, limitando il ricorso al cd usa-e-getta, che rappresenta il 40% degli oggetti in plastica prodotti). I milioni di tonnellate (la stima è tra i 4,8 e 12,7) che ogni anno finiscono negli oceani sono un buon argomento per iniziare.