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Ambiente

35 anni fa Chernobyl, disastro ambientale da non dimenticare

Aprile 26, 2021 By

Il 26 aprile 1986 si consumava il più grave incidente industriale della storia in una città dell’Ucraina settentrionale. Cosa successe e cosa insegna quella tragedia ai tempi dell’emergenza Covid.

Il 26 aprile 1986 è ricordato come il più grave incidente industriale della storia. A Chernobyl, una città dell’Ucraina settentrionale a pochi chilometri dal confine con la Bielorussia, un’esplosione in uno ei reattori della locale centrale nucleare produsse una nube radioattiva che contaminò irrimediabilmente un’ampia area di territorio sia ucraino che bieloriusso (sia Ucraina che Bielorussia facevano parte allora dell’Unione Sovietica) e nei giorni seguenti toccò buon parte dell’Europa.

Conseguenze drammatiche

Decine di persone – in prevalenza operai della centrale e primi soccorritori – morirono per gli effetti diretti del disastro, centinaia migliaia furono evacuate, mentre sulle conseguenze sanitarie a lungo termine dell’incidente i dati e le stime non sono concordi: secondo alcuni studi, a fronte di un incremento notevole del casi di cancro alla tiroide osservato nella popolazione ucraina e bielorussa delle zone più stabilmente contaminate, il numero dei deceduti a causa dell’esposizione diretta – o “ereditata”, nel caso di bambini nati da genitori contaminati — al fall out radioattivo è di alcune migliaia; le somme più pessimistiche indicano invece in diverse decine di migliaia le persone morte o destinate a madre per gli effetti indiretti del disastro (circa 9.000 secondo l’Oms).

Il referendum sul nucleare

L’incidente di Chernobyl suscita in tutta Europa una forte ondata di emozione e paura, amplificata dalla reticenza delle informazioni sui rischi per la salute pubblica fornite dalle autorità sanitarie sovietiche ma anche scarsa trasparenza informativa di cui dettero prova i governi dei paesi come la Francia e l’Italia — dove arrivò la nube radioattiva. Esso sembrò fornire una tragica conferma agli allarmi di parte ambientalista sull’intrinseca insicurezza dell’uso civile dell’energia atomica e diede nuovo vigore ai movimenti antinucleari. In Italia, dove nel 1986 erano in funzione o in costruzione diverse centrali nucleari, all’indomani dell’incidente le principali associazioni ambientaliste promossero una raccolta di firme per ottenere una consultazione referendaria sul tema: le firme furono oltre un milione e i referendum, svoltisi nel novembre 1987, videro la larga vittoria dello schieramento antinucleare, facendo dell’ltalia il primo grande paese industrializzato a decidere l’abbandono dell’energia nucleare.

Fonte: Dizionario del pensiero ecologico (Da Pitagora ai no globale) di Roberto Della Seta e Daniele Guastini

Cosa insegna quella esperienza drammatica?

I primi soccorsi, la gestione dell’emergenza, il contenimento della contaminazione, il dramma sociale, gli ospedali e infine il lento ritorno alla normalità. Per il mondo, alle prese con la pandemia, quell’emergenza può essere uno spunto di riflessione e d’insegnamento. Scrive l’Organizzazione mondiale della sanità: «Le conseguenze radiologiche e non dell’incidente hanno coinvolto direttamente e indirettamente la vita di milioni di persone in Europa. Questo anniversario ci offre l’opportunità di riflettere, di imparare da quelle lezioni. E ancora una volta, di apprezzare lo sforzo eroico di chi per primo rispose, correndo al reattore danneggiato e sacrificando la propria salute, in molti casi la propria vita, per salvare quella degli altri».

Per l’Italia, invece, è l’occasione per riflettere sulla gestione delle aree protette dei rifiuti radioattivi. In tal senso, Legambiente è intervenuta sulle problematiche emerse durante le prime valutazioni sulla Cnapi – la Carta delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico dei rifiuti radioattivi – rimasta secretata per sei anni e pubblicata infine a gennaio 2021. Nel recente report Rifiuti radioattivi ieri, oggi e domani, l’associazione ambientalista ribadisce che l’opera è necessaria per la soluzione del problema dei rifiuti radioattivi a media e bassa attività, oggi giacenti in depositi pericolosi o smaltiti illegalmente (quelli ad alta radioattività saranno ospitati all’estero, nel deposito internazionale, come previsto, dalla direttiva europea). I criteri e la gestione, però, devono essere tasparenti e frutto di un reale dibattito pubblico.

Un modo – sottolinea l’associazione – per non dare spazio agli ostruzionismi dei vari comitati Nimby e della politica (il fenomeno Nimto, not in my terms of office, non nel mio mandato) oltreché alla diffusione delle fake news. Perché, come ha dichiarato Il presidente Stefano Ciafani, quel 26 aprile 1986 dev’essere da lezione: “Dagli Anni 90 abbiamo monitorato e curato oltre 25mila bambini bielorussi, ucraini e russi, vittime della radioattività ancora presente in quelle aree. È un monito per l’Europa e l’Italia che hanno il dovere e la responsabilità di chiudere in sicurezza con il nucleare e la sua pericolosa eredità, e di contrastare lo smaltimento illecito dei rifiuti radioattivi”.