Gestione rifiuti

Cementifici, via libera al combustibile solido secondario

Gennaio 23, 2021 By

Una pronuncia del Tar dello scorso 7 gennaio segna una svolta per la promozione dell’economia circolare e un forte stimolo all’end of waste, cioè quel processo di recupero sul rifiuto, al termine del quale esso perde tale qualifica per acquisire quella di prodotto.

Il tribunale amministrativo del Lazio, infatti, ha respinto il ricorso di un comitato del “no” contro il cementificio di Buzzi Unicem a Vernasca (Emilia-Romagna), reo di usare materiali riciclati come energia. La Buzzi Unicem e le altre cementerie della Penisola, dunque, potranno usare combustibile solido secondario (Css) al posto del tradizionale coke fossile (il carbone che rimane come residuo della raffinazione del petrolio) per alimentare i forni.

Cos’è il combustibile solido secondario?

La decisione, a ben vedere, non sorprende. È la stessa Europa a richiedere l’utilizzo di combustibile non fossile ricavato da materiali di scarto (nel caso in questione era ricavato da ottenuto dalla selezione di carta, plastica e altri scarti) con forte valore energetico. Del resto, il Css è un particolare tipo di combustibile derivato dalla lavorazione dei rifiuti, che è a tutti gli effetti una fonte alternativa di energia. In pratica, lo scarto, dopo essere stato trattato, acquisisce nuove caratteristiche (per esempio, le concentrazioni di cloro e mercurio diventano pressoché nulle) e nuovo status. Non più rifiuto, dunque, ma concreto risparmio di fonti energetiche non rinnovabili.

Lo smaltimento rifiuti e le resistenze Nimby

E allora perché il Css ha incontrato tanti ostacoli in Italia? Per ragioni di natura normativa, procedurale, burocratica, economica e culturale. Le stesse che hanno bloccato e reso complicato lo sviluppo di una vera politica nazionale dei rifiuti. In tal senso, emblematica la vicenda di cui abbiamo accennato sopra. Ripercorriamone le tappe salienti.

Nel 2013, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini emana un decreto che recepisce le regole europee e che permette ai cementifici – nel rispetto di rigide regole sulle emissioni – di usare scarti combustibili alternativi (ricavati dagli scarti) al posto di carbone e pet coke. Così, in un colpo solo, viene: a. sgravato il problema dello smaltimento dei rifiuti; b. incentivata l’economia circolare; c. ridotta l’emissione di Co2 e d. allineata la potenzialità di cementifici e centrali elettriche del Bel Paese a quelli dei migliori Paesi d’Europa come Germania e Austria.

I cementifici autorizzati

In seguito al decreto, da Nord a Sud, crescono i cementifici autorizzati a usare questo materiale in sostituzione dei combustibili convenzionali fino ad arrivare agli attuali sedici. Crescono in contemporanea, però, anche timori e proteste di chi vive vicino agli impianti. A Vernasca, vicino Piacenza, alcuni abitanti – insieme alla Legambiente – fanno ricorso al Tar del Lazio contro l’autorizzazione concessa dalla Regione Emilia-Romagna. Ma questa volta, agli ambientalisti di turno va male. Con la sentenza n. 219, il Tar respinge il ricorso e sancisce che il principio di precauzione non può basarsi su una generica paura emotiva, ma su una concreta incertezza scientifica riguardo la bontà degli effetti. Non solo: viene ribadita l’importanza del decreto Clini nell’applicare e promuovere l’economia circolare, uno dei pilastri del Green Deal europeo.

La reazione dei ricorrenti non manca. I comitati ribadiscono i dubbi sulla non regolarità dei combustibili ottenuti da rifiuti e fanno intendere che si appelleranno al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar del Lazio.

Vedremo cosa succederà. Di sicuro, scienza, obiettivi europei ed esperienze virtuose all’estero indicano che l’Italia necessità di un cambio di mentalità. Sui cementifici, per rimanere sul tema, siamo indietro. Un recentissimo rapporto di sostenibilità della Federbeton (federazione di settore delle associazioni della filiera del cemento, calcestruzzo ecc) ha evidenziato come i cementifici italiani usino 420 mila tonnellate l’anno di combustibili di recupero al posto di quelli fossili per un tasso di sostituzione calorica del 20,3%. Una percentuale niente male, ma comunque di molto inferiore rispetto alla media dei Paesi europei, che è del 47%. Anche perché si stima che ogni tonnellata di Css usato voglia dire 0,7 tonnellate di CO2 evitata. Mica poco…