Economia circolare e plastica, un binomio da rafforzare
Troppa poca plastica differenziata e riciclata in Italia. Bisogna fare di più. Questo in sintesi, è quanto emerso nel corso del convegno La filiera della plastica nella gestione dei rifiuti urbani: confronto tra best practice a livello internazionale, tenutosi nelle settimane scorse durante Ecomondo.
Che la plastica sia stata oggetto di un approfondimento non stupisce. Perché parliamo del materiale più controverso di questi ultimi anni a causa dell’inquinamento dei mari. Perché la pandemia ne ha evidenziato potenzialità (il materiale medico è per lo più in plastica) e pericoli (l’impatto ambientale delle mascherine può essere devastante). Ma soprattutto perché la plastica ed economia circolare costituiscono un binomio inespresso.
Del resto, i numeri parlano chiaro. Vediamoli meglio.
Come detto, il focus è sui rifiuti urbani, visto che in questo circuito troviamo il 70% dei rifiuti in plastica (sia da imballaggio sia da altra plastica). Ebbene, in una ideale torta, le fette più grandi sarebbero quelle della frazione organica con il 35,5% e della carta con il 22,6%. A seguire la plastica con il 12,9% (3,9 milioni di tonnellate) e poi altri materiali tra i quali vetro, legno, pannolini, tessili, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) e metalli.
Se, però, andiamo a vedere i dati della raccolta differenziata in Italia (58,1%, cioè 17,5 milioni di tonnellate), ecco che le tonnellate della plastica superano di poco 1,3 milioni. Appena un terzo della produzione totale, sebbene non vada dimenticato un rilevante aumento del 7,4% rispetto al 2017.
E con il riciclo la fetta rappresentata dalla plastica si fa ancora più piccola. La plastica, infatti, registra un magro 5% con 650 mila tonnellate di scarti recuperati, mentre il riciclo di frazione organica (40,7%), carta (25,8%), vetro (16,3%) e il legno (6,8%) vantano percentuali decisamente più soddisfacenti.
Riepilogando: 3,9 milioni di tonnellate di plastica nei rifiuti urbani, ma “solo” 1,3 milioni di tonnellate di differenziata e appena 650 mila tonnellate riciclate. Insomma, troppa plastica finisce in discarica e nei termovalorizzatori o, peggio ancora, nelle spiagge o negli oceani.
Le cause? Tante. Tra queste: a) i costi superiori della plastica riciclata rispetto a quella vergine; b) il fatto che tanta plastica, nonostante il blocco della Cina, continui ad essere esportata all’estero (in altri Paesi del Sud-Est Asiatico e anche in Europa) e c) molti imballaggi raccolti non hanno i requisiti per essere avviati a riciclo.
Quest’ultimo punto richiama la necessità di puntare sul packaging sostenibile. Servono norme, certo, ma anche la sensibilizzazione degli attori in gioco. Sebbene questa non manchi, come dimostrano i packaging “sperimentali” del settore moda (qui link), c’è da augurarsi che cresca il ricorso all’uso di imballaggi sostenibili. Sarebbe, forse, il modo più efficace per migliorare il rapporto tra plastica presente nei rifiuti urbani e le percentuali della differenziata e del riciclo.
Così come dovrebbe aiutare il recepimento delle direttive europee sull’economia circolare, grazie al quale sarà possibile estendere il principio di Epr (responsabilità estesa del produttore) ad ulteriori flussi di rifiuti, tra cui le plastiche non da imballaggio. Non è un caso, del resto, che il 94% dei rifiuti plastici raccolti in modo differenziato sia costituito da imballaggi e che a questa filiera venga applicato il principio di responsabilizzare il produttore di un bene alla fase post-consumo insieme al corrispettivo ai Comuni per i maggiori oneri di raccolta differenziata.
Economia circolare e plastica, un binomio da rafforzare.