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Gestione rifiuti

Rifiuti invisibili: cosa sono, come ridurli

Dicembre 2, 2020 By

Differenziare, riparare, riciclare. Azioni imprescindibili, giuste, doverose ma non (sempre) sufficienti a salvare o migliorare in modo decisivo l’ambiente. Per un motivo semplice: l’impatto ambientale dei rifiuti è molto più grande di quello che pensiamo e percepiamo. Un cellulare di 200 grammi, per esempio, produce ben 86 chilogrammi di rifiuti, mentre per produrre un computer bisogna in media estrarre circa 40 chili di minerale di rame che equivalgono a 200 kg di CO2 immessa nell’area. Il fatto è che quando pensiamo ai rifiuti abbiamo in mente quelli che noi produciamo, buttiamo e ricicliamo. In altre parole, quelli urbani. In realtà, quest’ultimi sono appena il 20% (30 milioni di tonnellate) dei rifiuti. L’80% (140 milioni di tonnellate), infatti, è rappresentato dai rifiuti speciali, cioè quei rifiuti che derivano da attività produttive (industrie e aziende) e che, soggetti a procedure particolari e limitazioni, spesso non possono essere riciclati e finiscono in discariche e inceneritori.

Il peso dei rifiuti invisibili

Parliamo, dunque, di rifiuti generati durante il processo di fabbricazione dei prodotti, che spesso non avvertiamo e che non a caso rientrano in una particolare categoria sulla quale è stata incentrata la Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti: quella dei rifiuti invisibili. Di questi, i rifiuti speciali ne rappresentano la fetta più grossa, ma non l’intera torta. Vanno considerati, per capirci, anche le emissioni di CO2 generate nel corso della produzione e il fenomeno dell’overpackaging con i contenitori inutili o sovradimensionati.

L’impatto ambientale del cellulare che ordiniamo a casa, dunque, non si limita ai 200 grammi da smaltire una volta esaurito il ciclo di vita del prodotto. C’è un prima, infatti, nel quale, tra realizzazione e imballaggi, sono stati prodotti rifiuti per circa 90 chilogrammi. Insomma, rifiuti invisibili, generati durante il processo di fabbricazione dei prodotti e che spesso non ne immaginiamo neppure l’esistenza.

Cosa fare

Per questo, come dicevamo in apertura, scelte personali responsabili sono utili, però non decisive. Certo, il consumatore può prolungare la vita dei prodotti riutilizzandoli e riparandoli, noleggiandoli, condividendoli o in altri mille modi, ma il grosso della partita rimane nelle mani delle imprese. Spetta a loro, per vocazione e per legge, evitare l’obsolescenza programmata, ottenere il marchio di qualità ecologica o aderire ai regimi di responsabilità estesa del produttore.

La questione, quindi, è più complessa. Accanto a una produzione e a un consumo più sostenibili, infatti, c’è bisogno anche di impianti per chiudere il ciclo. Così come per i Raee (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche), ad esempio, si registra la carenza di tali impianti nel nostro paese. Tant’è che spesso le piattaforme per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti speciali non riescono a gestirne il flusso. Il risultato è quello raccontato in più occasioni: esportazione all’estero o in altre regioni, enorme spreco di denaro, mancata creazione di posti di lavoro ed assist alla criminalità organizzata, che offre smaltimenti illegale a costi inferiori alle aziende e a danno del patrimonio artistico e naturale della nostra amata quanto fragile Italia. Un crimine, un’ingiustizia dinanzi alla quale non possiamo più rimanere a guardare.