I giacimenti di litio in Italia e la solita sindrome Nimby
Una vicenda colpevolmente passata sottotraccia. Eppure c’è in ballo la possibilità concreta di intraprendere la transizione energetica e creare ricchezza nel Paese in un momento economico particolarmente delicato. Ma andiamo con ordine e partiamo dall’inizio.
Il litio e la mobilità green
Parliamo del litio, cioè del metallo più leggero conosciuto sulla Terra ed elemento solido meno denso, tanto da essere tagliato con un coltello. Il litio si presta a diverse applicazioni: oltre a ceramica, vetro e medicina – ambito, quest’ultimo, nel quale è largamente usato – è diventato fondamentale per le batterie dei nostri pc e smartphone. Insomma, si tratta di un elemento decisivo per le nostre vite. E, in prospettiva, può diventarlo ancora di più, visto che il litio è un componente essenziale anche per le batterie utilizzate dai veicoli elettrici. Non è un caso che la domanda di batterie al litio sia passata dal 29% del 2009 a oltre il 50% del 2019. Del resto, basta guardare il grafico sotto per capire come, rispetto a quelle al piombo, le batterie al litio hanno prestazioni superiori, velocità di ricarica più che dimezzate e potenza erogata per kg di materiale triplicata.
Il segreto di Pulcinella dei giacimenti in Italia
La strada che porta alla mobilità verde, però, è ricca di ostacoli. I maggiori giacimenti mondiali si trovano tra Bolivia, Argentina e Cile (sotto laghi secchi diventati deserti di sale) e in Australia (nelle rocce). Ma in entrambi i casi l’estrazione comporta dispendio di energia e acqua. Nel caso delle rocce all’australiana, poi, estrarre il litio vuol dire emettere 15 tonnellate di C02 per ogni tonnellata e consumare grandi quantità di acqua. Senza dimenticare le “cicatrici” lasciate nel paesaggio. Al contrario, sarebbero più funzionali i giacimenti individuati in Cornovaglia, Renania e California, perché in questi casi il litio geotermico, già presente nell’acqua, comporterebbe un abbattimento di costi e un inquinamento molto inferiore.
E L’Italia? Con questa domanda torniamo all’inizio della nostra storia. Succede che a seguito di un articolo sull’estrazione e l’importanza di litio da fluido geotermico del sito L’Inkiesta, una fonte (che chiede di rimanere anonima e di tacere i nomi delle aziende coinvolte) contatti la redazione e assicuri: «Anche in Italia ci sono siti idonei con contenuti elevati di litio! Il problema è l’accettabilità sociale e la politica». Parte un giro di verifica tra gli addetti ai lavori ed ecco la conferma: in Italia ci sarebbero giacimenti di litio non sfruttati tra la Toscana e il Lazio.
La sindrome Nimby che blocca il Paese
Non è tutto. La notizia non sorprende nessuno. Una specie di segreto di Pulcinella. Eppure, sebbene l’esistenza di questi giacimenti sarebbe decisiva per la transizione energetica di cui tanto si parla, silenzio da parte di istituzioni e media. I motivi? A quanto pare, quelli denunciati in più d’un occasione: ostilità dei comitati di turno (la ricerca geotermica potrebbe provocare terremoti o inquinare le falde acquifere) e immobilismo dei politici (spesso per tornaconti elettorali). Il risultato? Al solito, occasioni perse, soluzioni rinviate e problemi (si pensi ai rifiuti) sempre lì, a danno della popolazione e dell’ambiente stesso.
Nel caso in questione, peraltro, le opportunità sprecate non si limitano al litio, ma riguardano l’intero settore geotermico. La geotermia è una energia rinnovabile al pari di fotovoltaico, eolico e idroelettrico. Anzi, è meno impattante. L’Islanda ne ha fatto un simbolo del proprio ruolo di avanguardia nella transizione energetica mentre da noi gli unici impianti e pozzi geotermici esistenti (di proprietà dell’Enel) , si trovano nelle zone di Larderello e dell’Amiata.
Come osserva l’inchiesta de L’Inkiesta (si perdoni il gioco di parole) in dieci anni non è stato realizzato nemmeno un pozzo esplorativo. In Toscana, sembrerebbe, che i permessi di ricerca vengano rilasciati, ma che tutto si blocchi nel momento di passare all’azione; nel Lazio, invece, le autorità sarebbero rimasti silenti. Il condizionale è d’obbligo. Una cosa, però, è certa: la sindrome Nimby e l’opportunismo politico hanno bloccato già troppo il Belpaese.